L'ansia è un'emozione complessa
I disturbi d’ansia rappresentano il problema singolo della salute mentale più ampio degli Stati Uniti (Barlow, 2002) e più di 19 milioni di americani adulti hanno un disturbo d’ansia ogni anno (National Institute of Mental Health, 2001).
L’Italia non si mostra molto lontana da questo panorama. Oltre un soggetto su cinque può andare incontro a un disturbo d’ansia nell’arco della vita si legge sul sito del Policlinico Gemelli di Roma e, nel nostro Paese, quasi un milione di persone soffre di attacchi di panico (Istat, 2006).
La letteratura internazionale registra una presenza significativamente maggiore di circa 23 volte in più nelle donne rispetto agli uomini e una percentuale di presenza di panico nell’intera vita che sembra variare tra l’1,5% e il 3/3,5 % (APA, 2014).
L’ansia è un’emozione complessa che coinvolge aspetti fisiologici (es. sudorazione, vertigini, palpitazioni, vampate di calore, formicolii), cognitivi (paura di perdere il controllo, di morire, di impazzire, scarsa memoria, distraibilità), comportamentali (fuga, evitamento, congelamento) e emotivi (tensione, agitazione, nervosismo, paura, irritabilità) del funzionamento umano (Clark & Beck, 2010).
Da un punto di vista antropologico essa, insieme alla paura, ha da sempre permesso la sopravvivenza degli individui di fronte a situazioni pericolose per sé e per la specie ed è da considerarsi assolutamente funzionale all’esistenza: un’eliminazione totale non è né possibile né auspicabile.
Qualora i suoi livelli oltrepassino un range di normalità e tolleranza, tali da interferire con il proprio funzionamento quotidiano, è tuttavia indicato intervenire. E’ il caso per esempio dell’attacco di panico: breve episodio (da pochi minuti a massimo mezz’ora) di ansia intollerabile, di intensa paura o terrore, che insorge improvvisamente.
Esso è accompagnato da sintomi somatici e cognitivi e dalla sensazione di pericolo imminente e/o mortale e spinta alla fuga.
Il ricco quadro sintomatologico, che in linea generale raggiunge la massima intensità in circa dieci minuti, sfugge al controllo di chi lo vive e vede una grossa attivazione neurovegetativa, che coinvolge principalmente l’apparato cardiorespiratorio (producendo sensazioni per esempio di soffocamento, vampate di calore, costrizione toracica o palpitazioni), l’apparato urinario (es. impellente bisogno di urinare), quello gastrointestinale (es. diarrea, nausea) e sintomi neurologici (es. tremori) e cognitivi (es. paura di morire, paura di impazzire). Generalmente, una condizione di spossatezza, sensazione di testa vuota e possibili vertigini successive lo seguono.
Affinché si possa diagnosticare un Disturbo di panico è necessario che si verifichino ricorrenti e inaspettati attacchi di panico seguiti, per almeno un mese, dalla costante preoccupazione di avere un nuovo episodio o delle conseguenze che ne possano derivare (APA, 2014).
L’esordio del Disturbo di Panico avviene con un attacco di panico improvviso e inaspettato, il quale sembra comparire senza che via sia un elemento scatenante; può, infatti, presentarsi in momenti di tranquillità, nel corso di attività quotidiane (al supermercato, in ascensore, in metro, in autobus, ecc) o addirittura nel sonno.
“Di notte improvvisamente mi sono svegliata, mi mancava il respiro, mi sentivo soffocare. Dovevo prendere assolutamente ossigeno e sono corsa fuori…Ma la situazione non si è calmata, anzi peggiorava sempre più. Mi mancava il fiato, sentivo un dolore al petto e ho pensato che stessi per morire”.
L’intero quadro sintomatologico viene vissuto come un’esperienza drammatica, le cui connotazioni rimangono ben vivide nella mente della persona che lo ha sperimentato tanto che, di fronte alla costante preoccupazione di un loro ripresentarsi (ansia anticipatoria), si mettono in atto una serie di comportamenti che pian piano vanno ad interferire con la qualità di vita e l’adattamento socio-lavorativo. Condotte di evitamento e ricerca di rassicurazioni (per es. presenza di una figura protettiva, bottiglia d’acqua, ansiolitici, sedersi vicino alle uscite) diventano un modo per gestire e per proteggersi dalle conseguenze dannose temute. All’inizio sono relative ai posti in cui si sono scatenati gli attacchi di panico, pian piano si estendono a tutta una serie di situazioni in cui, per esempio, potrebbe risultare imbarazzante gestire la crisi o difficile trovare un aiuto immediato.
Attualmente il Disturbo di panico viene trattato o con una psicoterapia o con una terapia farmacologica o con combinazione tra queste. Grazie all’utilizzo di protocolli standardizzati, su cui esistono in letteratura numerosi studi che ne dimostrano la validità e l’efficacia, la Terapia cognitivo-comportamentale rappresenta uno degli approcci di elezione nel trattamento (Pompoli et al., 2016).
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