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Lunedì, 05 Febbraio 2024 11:57

La Psicoterapia Basata sul Benessere

La Psicoterapia Basata sul Benessere

In questo articolo parliamo di Psicoterapia Basata Sul Benessere o Well Being Therapy (WBT), un approccio nato ad opera di uno psichiatra italiano che ci farà incontrare tre grandi donne '900.

Cos'è la Psicoterapia Basata Sul Benessere

La Psicoterapia Basata Sul Benessere è stata proposta e sperimentata da Giovanni Andrea Fava, professore ordinario di psichiatria alla State University di New York.

Il Dott. Fava è partito da una considerazione molto semplice quanto importante:
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"in medicina non c'è correlazione tra la gravità obiettiva della malattia e la qualità della vita della persona: possiamo avere una persona che ha un disturbo banale ma che ha la vita devastata e una persona che ha dei gravissimi problemi e che riesce ugualmente ad affrontarli." [2]
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In altri termini la qualità della vita di una persona non dipende dalla quantità assoluta di sofferenza ma dalla presenza di elementi positivi, di "benessere", che possano bilanciare quella sofferenza.

Questa riflessione ha portato il Dott. Fava ad un sostanziale cambio di prospettiva:

Invece di focalizzarsi su ciò che deve essere guarito (il malessere) la WBT analizza assieme al paziente i momenti di benessere e cerca di fare in modo di prolungarne la durata.

Come funziona la Psicoterapia Basata Sul Benessere

Il protocollo di intervento della WBT può essere suddiviso in tre fasi [3] [4]:

  • Sedute iniziali: hanno l'obiettivo di esplorare gli episodi di benessere vissuti dal paziente e il contesto in cui si verificano. Ai pazienti viene chiesto di tenere un diario in cui valutare l'intensità dei benessere generato da tali episodi e le circostanze in cui si sono verificati;
  • Sedute intermedie: hanno lo scopo di identificare le aree di benessere psicologico ben sviluppate e quelle compromesse da pensieri disfunzionali. In questa fase il terapeuta interviene nel ristrutturare i pensieri disfunzionali, nel rinforzare le aree di benessere esistenti e nel promuovere un ruolo attivo di auto-monitoraggio da parte del paziente;
  • Sedute finali: in cui il terapeuta illustra le dimensioni del benessere psicologico prestando attenzione a collegare ciascuna dimensione alle esperienze vissute dal paziente, al fine di promuovere interpretazioni alternative delle aree di benessere ancora problematiche.

Carol Ryff e le sei dimensioni del Benessere

Il concetto di Benessere a cui la WBT riferimento è quello di Carol Ryff, che lo articola in sei dimensioni principali [10]:

  • Autonomia: capacità di autodeterminarsi e di resistere alle pressioni sociali e di valutare sé stessi in base a criteri autonomi;
  • Padronanza Ambientale: capacità di gestire la propria vita e il proprio ambiente sociale, di far uso efficace delle opportunità circostanti e di scegliere o creare contesti adatti alle proprie esigenze e valori;
  • Crescita personale: capacità di sentirsi in continuo sviluppo, vedersi in fase di crescita, essere aperti a nuove esperienze, avere la sensazione di realizzare il proprio potenziale;
  • Relazioni positive con gli altri: capacità di creare e mantenere relazioni calde e soddisfacenti con gli altri, avere cura del benessere altrui, saper provare empatia, affetto e intimità e avere chiaro senso di scambio nelle relazioni umane;
  • Scopo nella vita: capacità di darsi e avere obiettivi, intenti e un senso di direzione e un significato nella vita. Nel commentare questa dimensione il Dott. Fava afferma che la popolazione anziana e quella più giovane sono oggi quelle in cui "il senso di scopo nella vita tende a ridursi poiché non hanno alcun futuro in cui credere" [2];
  • Accettazione di sé: capacità di mantenere un atteggiamento positivo verso sé stessi, riconoscere e accettare le proprie qualità e difetti e sentirsi bene con sé stessi.

Marie Jahoda e la Psicologia del Benessere

La Terapia Basata sul Benessere deve molto al lavoro di Marie Jahoda una figura centrale nel pensiero sociale del ventesimo secolo.

Nata e cresciuta nella Vienna di inizio secolo, fu arrestata nel 1936 per il suo coinvolgimento nella resistenza contro il regime austro-fascista di Kurt Schuschnigg per poi emigrare negli Stati Uniti dove continuò dove divenne una delle voci più influenti nel panorama sociale del secondo dopoguerra.

Nel 1932 Jahoda realizzò il pionieristico studio "I disoccupati di Marienthal"in cui usò metodi innovativi per analizzare l'impatto multiforme della privazione del lavoro nelle società industriali moderne.
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"Arrivammo a Marienthal come scienziati sociali; ce ne andammo con un unico desiderio: che la tragica possibilità di svolgere un’inchiesta come questa non si ripresenti più ai nostri giorni”. [6]

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Per la Jahoda "I disoccupati di Marienthal" fu un passaggio essenziale per l'elaborazione di una teoria più ampia del benessere e sulla salute mentale, che pubblicò nel 1958 con il titolo di "Current Concepts of Positive Mental Health".

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"L'assenza di malattia può costituire un criterio necessario, ma non sufficiente, per la salute mentale."[5] 

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Ricordando quest'ultimo lavoro della Jahoda, Giovanni Andrea Fava dice:

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"Nel momento in cui l'ho avuto tra le mani, ho avuto la netta sensazione che il libro mi stesse aspettando..." [2]

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Rosa Balistrieri e la musica del riscatto

La Terapia Basata sul Benessere deve dunque molto al lavoro di due donne che si sono interrogate sulle caratteristiche di una vita degna di essere vissuta nonostante le ipoteche che spesso calano su di essa.

Un esempio tutto italiano di "vita nonostante tutto" è quello di Rosa Balistreri, una delle maggiori interpreti della canzone popolare siciliana, ricordata anche dalla Presidenza della Repubblica, nel 2021, in occasione della giornata internazionale dedicata alla donne [11].

La sua vita eroica, attraversata da lutti, privazioni e tragedie che la condussero anche in carcere, è stata un'eccezione nel panorama culturale italiano del secondo dopoguerra. Rosa era una donna che cantava in pubblico, cosa che sino ad allora apparteneva al mondo delle cantanti liriche, e che con la sua voce graffiante portava in piazza le ingiustizie degli ultimi e delle donne del sud, le più subalterne d'Italia.

Suo nipote, Luca Torregrossa, nella biografia a lei dedicata [12], la descrive come "una donna che nella voce aveva il coraggio, l'arte e la gioia".

Andrea Camilleri, nel ricordare l'ultimo spettacolo a cui Rosa prese parte, dice: 

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"Mi venne in mente di inventarmi dei canti lontani, come se una donna, una madre, una sposa al di fuori delle mura del carcere, cantasse per confortare un proprio congiunto. Rosa Il carcere lo conosceva bene e quindi sapeva l'importanza che poteva avere il canto di una persona amica. (...) Mi portò le parole di una canzone (...) da cui cavammo fuori una scena cove Rosa, in qualità di madre di un carcerato, chiede ed ottiene un colloquio col figlio e poi alla fine il figlio gli dice "Mamma cantami" e la mamma, sottovoce, gli canta in scena. Ma questo sottovoce in scena fa sì che che i carcerati si appendano alle sbarre delle loro celle e perfino i secondini lentamente entravano in scena per sentirla e c'era questo momento di magica sospensione affidata alla voce di Rosa".[8]

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Conclusioni

Ci sono eventi che ci sorprendono e ci sconquassano con la loro forza devastante ma è possibile guardare anche attraverso di essi e trovare elementi in grado di bilanciare quel dolore e di darci la forza di continuare a vivere.

La Terapia Basata sul Benessere e l'esempio di Rosa Balistreri ci dicono la sofferenza non deve per forza determinare la nostra qualità di vita. Essa può essere influenzata anche dalla nostra capacità di dare spazio a ciò che non è sofferenza.

Come ha detto Italo Calvino ne "Le città Invisibili":
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"L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà: se ce n’è uno è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiano stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio". [1]
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Bibliografia

  1. Calvino I. (1972): "Le città invisibili", in Collezioni "Supercoralli" e "Nuovi coralli" n. 182, 1ª ed., Einaudi. Torino.
  2. Fava G.A. (2023): "Il benessere psicologico". Video del Convegno tenuto presso Il Centro Studi Biblici Giovanni Vannucci" il 26 novembre 2023. 
  3. Fava, G. A. (1999): "Well-being therapy: Conceptual and technical issues". Psychotherapy and Psychosomatics, 68(4), 171–179.
  4. Fava, G. A. (2016): "Well-being therapy: Treatment manual and clinical applications". Karger Medical and Scientific Publishers. Trad. it. "Psicoterapia breve per il benessere psicologico" Raffaello Cortina Editore, Milano. 2017
  5. Jahoda M. (1958): "Current Concepts of Positive Mental Health". Issue 1 of Joint Commission on Mental Illness and Health. Monograph series, no.1, Basic books. New York, disponibile al link 
  6. Jahoda M., Lazarsfeld P.F., Zeisel H. (1932): "Die Arbeitslosen von Marienthal". Suhrkamp Verlag, Francoforte. Trad. en. "Marienthal: The Sociography of an Unemployed Community", Routledge. Abingdon. 2017.
  7. Providenti G. (2012): "Rosa Balistrieri" in Enciclopedia delle Donne. 
  8. Rai Storia (2017): "Rosa Balistreri, un film senza autore"
  9. Ruini, C., & Fava, G. A. (2009): "Wellbeing therapy for generalized anxiety disorder". Journal of Clinical Psychology, 65(5), 510–519.
  10. Ryff, C. D. (2014): "Psychological well-being revisited: Advances in the science and practice of eudaimonia". Psychotherapy and Psychosomatics, 83(1), 10–28. 
  11. TGR Sicilia (2021): "Rosa Balistreri cantata al Quirinale per celebrare le donne".
  12. Torregrossa L. (2021): “L’amuri ca v’haju. La vera storia di Rosa Balistreri”. Aveditoria. Albino. Acquistabile solo sul sito dedicato a Rosa Balistrieri.

 

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Mercoledì, 03 Agosto 2022 08:25

Lascia andare i brutti ricordi

Riuscire a narrare la propria storia di vita, ricca di episodi soddisfacenti e non, senza che la gola all’improvviso si blocchi, al fine di stringere le parole che vorremmo celare all’Altro, è l’esperienza che proviamo quando la Memoria ha messo in ordine i ricordi. Come una madre, attenta e premurosa, la Psiche è in grado di celare (anche per molto tempo) alla Coscienza ciò che stato vissuto, ma con troppa sofferenza, nascondendo nel corpo ciò che necessiterebbe di essere svelato. Ecco che i sintomi iniziano a organizzare una prima storia del silenzio ‘necessario’ per sopravvivere.

Rendere esplicito, comprensibile ed organizzato il vissuto di sofferenza è arduo compito delle psicoterapie che da anni, partendo da strade differenti (molteplici sono gli orientamenti), cercano di sostenere la memoria nel compito di riordino dei ricordi, così da rendere fluida la narrazione.

Oltre ai personaggi, un aspetto importante sono i tempi delle storie. Passato, presente e futuro possono cronologicamente mostrare coerenza oppure lasciare il posto al contenuto del ricordo, che, appesantito di parole/dettagli somatici e sensoriali, non consente di scorrere il tempo della propria vita. Quante volte ti è capitato di esser ripreso “L’hai già raccontato” e di provare dispiacere per quel commento, accorgendoti che non l’hai ancora lasciato andare quell’episodio, che tuttora ti disturba: non è digerito e la mente continua imperterrita a cercare una soluzione. Si, perché la nostra mente non molla mai, una soluzione la cerca sempre, magari facendoti ripercorrere strade simili (coazione a ripetere), rimettendoti in situazioni che non vorresti più esperire, ma, fino a quando una spiegazione utile/funzionale/rasserenante per te non la trova, la mente ti tiene sul pezzo!

Che fatica...Responsabilità, sicurezza e controllo sono tre categorie (cognitive) su cui ti interroghi, mentre regoli il volume delle emozioni (paura, rabbia, tristezza, disgusto, gioia, colpa, vergogna ...) e cerchi di monitorare i sintomi del corpo (che accusa il colpo). Le relazioni che ci circondano interferiscono e ci contaminano nella riuscita o meno del nostro viaggio verso la soluzione.

Lasciare andare i brutti ricordi si può, reinserendoli nel passato e usando ciò che abbiamo appreso, da questa esperienza, per proseguire il cammino. Il Protocollo EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) è una proposta per ripercorrere le strade tracciate dalla Psiche e rileggere la Vita da una prospettiva capace di darci merito della fatica.

L’EMDR si focalizza sul ricordo, brutto/traumatico, andando a “bussare” nel punto del nostro cervello in cui esso è trattenuto dalle reti neurali. La procedura terapeutica consente di sbloccare le informazioni che creano disagio/sofferenza, nel recupero di tale ricordo, e riavviare il sistema innato di auto-guarigione della persona.

Come ogni altro organo del corpo, il cervello è naturalmente orientato alla salute mentale.

Il ricordo, brutto/traumatico, dopo una Psicoterapia con EMDR non è più disturbante, perché si ricolloca/si riorganizza nelle reti neurali in modo più adattivo/più funzionale alla fluidità della narrazione della nostra vita. Le numerose ricerche di neuroimaging (Levine P. et al., 2000) lo dimostrano. E’ impossibile dimenticare/resettare i brutti ricordi, però è possibile riorganizzarli/riordinarli/dare loro una migliore collocazione, che favorisca sollievo e consapevolezza dell’esperienza che quell’evento ricordato porta con sé.

Dott.ssa Fantinati Mara

Fernandez I., Maslovaric G., Galvagni M.V., (2011), Traumi psicologici, ferite dell’anima. Il contributo della terapia con EMDR.
Levin P., Lazrove S., Van der Kolk B., (2000), What psychological testing and neuroimaging tell us about treatment of post-traumatic

stress disorder by EMDR, Journal of Anxiety Disorders, 13 (1-2), 159-172. Van der Kolk B., (2015), Il corpo accusa il colpo, Cortina Raffaello.

Lunedì, 06 Maggio 2019 06:53

L’ EMDR nell’elaborazione del lutto

La perdita di una persona cara può essere considerata un’ esperienza traumatica. Sebbene l’essere umano sia predisposto a superare il dolore di una perdita, in alcune circostanze il processo di adattamento può bloccarsi e non consentire l’integrazione dell’evento luttuoso nella memoria.

L’elaborazione del lutto avviene principalmente attraverso 3 fasi: la prima è quella dell’evitamento, in cui il dolore è talmente forte che la persona è incapace di comprendere ciò che è successo e tende a negare l’evento; la seconda è la fase del confronto emotivo, in cui ci si confronta con la perdita e gradualmente se ne apprende l’impatto; l’ultima fase è quella dell’accomodamento, che prevede un adattamento alla nuova realtà senza dimenticare l’evento vissuto .

Si parla di lutto complesso se emerge una compromissione o un mancato completamento di una delle fasi dell’ elaborazione del lutto. Solitamente quando manca una completa elaborazione dell’evento emergono due comportamenti caratteristici, che sono l’ evitamento di situazioni o aspetti legati alla perdita o l’aggrapparsi alla persona perduta senza lasciarla andare.

Le componenti alle quali l’ EMDR presta maggiore attenzione e che divengono oggetto di elaborazione durante il processo di desensibilizzazione attraverso i movimenti oculari sono appunto le emozioni, le sensazioni fisiche e le cognizioni associate all’evento luttuoso.

Le emozioni frequentemente esperite quando si vive un lutto sono la tristezza, la rabbia per aver perso la persona cara, la colpa se si teme di essere in parte responsabili della morte dell’altro o di non aver fatto abbastanza per salvarlo, l’ansia legata al timore di poter morire e l’impotenza.

Le sensazioni fisiche maggiormente associate al ricordo di un lutto possono essere: il vuoto allo stomaco, la stretta nel petto, la stretta alla gola, l’affanno, i muscoli indeboliti, la mancanza di energia o la bocca secca.

Le cognizioni frequentemente riscontrate in chi ha vissuto una perdita si riferiscono all’incredulità, alla confusione, alla sensazione di sentire la presenza della persona deceduta oppure possono comparire esperienze allucinatorie o illusorie.

Vi sono alcuni fattori che possono complicare l’ elaborazione di un lutto, che riguardano la modalità di decesso (morte improvvisa o inaspettata, morte violenta, decessi multipli, decessi ambigui..), il legame con la persona cara, la concorrenza con altri eventi stressanti, le caratteristiche legate alla personalità e alle strategie di coping.

L’ EMDR è una tecnica che può facilitare il passaggio per le diverse fasi di elaborazione del lutto, pur rispettando i tempi del paziente e senza eliminare i ricordi e le emozioni sane e adeguate legate alla perdita. Inoltre, può favorire il superamento di momenti di blocco e l’affiorare di ricordi positivi legati al rapporto con la persona cara.

Nella fase di anamnesi è opportuno raccogliere informazioni sulle circostanze del decesso, la natura della perdita, le reazioni al decesso sia da parte del paziente che di altri familiari, cosa è cambiato dopo la perdita della persona cara, il tipo di legame con la persona perduta. In questa fase è anche utile esplorare se ci sono state in passato altre esperienze dolorose, quale impatto hanno avuto sulla vita del paziente e come li vive nel presente. Nella concettualizzazione del caso è anche opportuno individuare i ricordi dolorosi del passato legati all’evento luttuoso, i triggers del presente che riattivano un certo grado di sofferenza ed eventuali situazioni future che potrebbero essere legate al lutto e che potrebbero riattivare emozioni dolorose.

Nella fase di preparazione è opportuno offrire al paziente un ambiente calmo e sicuro, stabilizzare il paziente, creare una buona relazione terapeutica, installare risorse e spiegargli come si procederà, preparandolo sulla possibile insorgenza in seduta di emozioni molto dolorose, che tuttavia è importante esperire e attraversare prima di raggiungere un maggiore equilibrio emotivo e psichico.

A questo punto si procederà con le fasi precedentemente descritte.

I target che vengono spesso utilizzati nel corso dell’ EMDR, riguardano il momento in cui è stata appresa la notizia, il funerale, immagini intrusive, immagini di incubi, aspetti legati alla responsabilità personale o alla propria mortalità.

L’ EMDR consente, quindi, di ristimolare il sistema bloccato e accelerare l’elaborazione della perdita, consentendo l’affioramento di emozioni sane. Non bisogna, tuttavia, dimenticare che ogni paziente ha i suoi tempi e che è importante accompagnarlo in questo percorso di elaborazione rispettando i suoi tempi e il suo dolore.