Social Media e Impulsività
Social Media e Impulsività:
I social media hanno indubbiamente aspetti positivi: possono metterci in contatto con altre persone e diffondere consapevolezza su temi importanti. Essi però funzionano sfruttando meccanismi che ci inducono a perdere il controllo delle nostre azioni e questo può avere impatti negativi sul benessere e sulla salute mentale.
1. Meccanismi psicologici e biologici
I social media sono progettati per catturare la nostra attenzione in modo molto efficace attraverso l'uso abile di meccanismi biologici, psicologici e tecnologici [1, 2, 3].
Ad esempio quando riceviamo un "mi piace":
- Viene soddisfatto il nostro bisogno psicologico di appartenenza e di validazione sociale, ossia il desiderio naturale di sentirci parte di un gruppo che ci approva;
- Ciò produce l'attivazione del "sistema della ricompensa", ossia di quelle parti del cervello che, tra le altre cose, rilasciano dopamina, una sostanza chimica associata al piacere;
- Questo ci motiva a ripetere l'azione, in questo caso a continuare a pubblicare post sui social, nel tentativo di provare nuovamente quell'esperienza piacevole;
- Questa ripetizione attiva un meccanismo impulsivo simile a quello che nella Mindfulness viene chiamato "Pilota Automatico";
- Nei casi più intensi questa compulsione può diventare una forma di dipendenza;
2. Meccanismi tecnologici
I social media riescono a generare questo circolo vizioso attraverso un'accurata progettazione [3, 4, 5, 6]:
- Le notifiche sono programmate per arrivare in momenti specifici, in cui è più facile interrompere ciò che stiamo facendo e catturare la nostra attenzione;
- Le raccomandazioni di nuovi contenuti si basano sull'analisi del nostro comportamento e sfruttano l'innata curiosità umana per incentivare il continuo scorrimento delle pagine;
- Il conteggio dei "mi piace" o dei follower crea un ambiente che promuove il confronto sociale e la ricerca di approvazione per incentivare la pubblicazione di contenuti.
3. Effetti sulla salute mentale
Questo costante incentivo alla ricerca di gratificazioni immediate può produrre vari effetti negativi sulla salute mentale [1, 2, 3, 4, 6]:
- Ansia: il confronto sociale costante può farci sentire inadeguati e stressati;
- Depressione: la dipendenza dalle gratificazioni immediate possono ridurre la capacità di provare piacere nelle attività quotidiane;
- Diminuzione della qualità del sonno: l'uso prolungato di dispositivi digitali, specialmente di notte, altera i ritmi del sonno e può causare insonnia.
4. Strategie utili
Per mitigare questi effetti possiamo adottare alcune abitudini [1, 3, 5]:
- Impostare limiti di tempo: utilizzare i social media solo per un periodo limitato ogni giorno;
- Disattivare le notifiche: al fine di ridurre le interruzioni inutili;
- Dedicare tempo ad attività offline: come l'esercizio fisico e le interazioni faccia a faccia;
- Programmare routine giornaliere: stabilire abitudini che includano pause dai dispositivi digitali;
5. Approcci psicologici
Per intervenire clinicamente sugli impatti negativi sulla salute mentale esistono alcuni approcci psicologici efficaci [1, 4, 5]:
- La Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT): aiuta a identificare e modificare i pensieri e i comportamenti disfunzionali. Funziona bene per la dipendenza dai social media perché aiuta a cambiare pensieri e comportamenti negativi e insegna nuove strategie di gestione dei problemi;
- La Terapia Dialettico-Comportamentale (DBT): incorpora elementi di mindfulness per gestire l'impulsività e migliorare la regolazione emotiva;
- La Riduzione dello Stress Basata sulla Mindfulness (MBSR): promuove l'auto-consapevolezza e riduce le reattività automatiche, particolarmente attivate dall'abuso di social media.
6. Conclusioni
Come ha scritto Tristan Harris, fondatore del Center for Humane Technology [8]:
"Quando lo stimolo a compiere un'azione è molto alto, ossia l'azione successiva può essere realizzata senza alcun "attrito", noi perdiamo la capacità di pensare prima di agire (...) e quando ciò avviene diventiamo preda dell'azione impulsiva e perdiamo la caratteristica che più ci distingue come esseri umani." [7]
Occorre dunque un'educazione alla consapevolezza anche nell'uso di questi strumenti, affinché siano loro ad essere al nostro servizio e non il contrario.
Bibliografia:
- Harvard T.H. Chan School of Public Health: "Social media use can be positive for mental health";
- Meshi, Dar, Diana I. Tamir, and Hauke R. Heekeren (2015): "The emerging neuroscience of social media." Trends in cognitive sciences 19.12: 771-782;
- Harvard T.H. Chan School of Public Health: "Is social media bad for young people’s mental health";
- Stanford University: "A Psychiatrist’s Perspective on Social Media Algorithms and Mental Health";
- University of Florida: "Social Media and Mental Health: Considerations from experts this Mental Health Awareness Month";
- Cornell University: "New Evidence on Adolescent Mental Health and Social Media";
- Tristan Harris (2013): "A Call to Minimize Distraction & Respect Users’ Attention", trascrizione completa da digitalwellbeing.org;
- Center for Humane Technology: www.humanetech.com
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Il Carico Mentale che ricade sulle Donne
Il Carico Mentale che ricade sulle Donne
di Alessandra Franceschini
Il concetto di Carico Mentale rappresenta un elemento chiave della psicologia umana, che interessa particolarmente le donne in diversi contesti della vita quotidiana.
Esso si riferisce alla quantità di sforzo cognitivo necessaria sia per gestire sia per organizzare mentalmente una serie di attività, inclusi i casi in cui le azioni sono effettivamente svolte da altri.
Nella società contemporanea, le donne spesso si trovano ad affrontare una molteplicità di ruoli e responsabilità, il che può aumentare il Carico Mentale e impattare sul loro benessere psicologico [5].
Anche nelle moderne società occidentali sono spesso le donne a farsi carico della quasi completa gestione delle faccende che riguardano la casa, i figli e i rapporti interpersonali con familiari e amici.
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"Le donne che lavorano full-time, e che convivono con un partner che lavora full-time, hanno il doppio delle probabilità di essere le uniche responsabili dell’organizzazione domestica (...). Se restringiamo il campione a chi ha figli (...) al di sotto (...) dei 14 anni (...) l’effetto è ancora più pronunciato". [1]
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Questi ruoli implicano una vasta gamma di compiti e decisioni che richiedono un notevole sforzo cognitivo per essere gestiti in modo efficace [4].
Le donne sono spesso responsabili della pianificazione delle attività e anche della loro esecuzione, oltre ad affrontare le sfide della carriera professionale.
Questo tipo di gestione raramente si trova ad esempio in ambito lavorativo, dove spesso chi programma le attività non è anche chi le esegue concretamente ma sono ruoli e competenze ben distinti.
Le donne si sentono spesso sopraffatte dalla costante necessità di bilanciare le diverse responsabilità e possono avere difficoltà a trovare il tempo per il riposo e il recupero emotivo, trovandosi spesso a cercare appoggio presso le amiche o servizi esterni come la psicoterapia.
Esiste una consistente letteratura sul cambiamento nella distribuzione del lavoro domestico in coppia [2, 3, 5, 6,]. Le persone single tendono a gestire da sole le faccende domestiche per necessità. Quando entrano in una coppia, specialmente in contesti eterosessuali, la distribuzione del lavoro domestico può cambiare a causa di dinamiche di genere tradizionali.
La tendenza generale indica che le donne, in media, spendono più tempo in compiti domestici rispetto agli uomini, e questa disparità spesso si accentua con la convivenza o il matrimonio. Questo fenomeno è stato ampiamente documentato in letteratura e riflette le aspettative di genere radicate nella società.
I dati ISTAT riportano uno spaccato impietoso della ripartizione del lavoro domestico fra uomini e donne in Italia [7].
- Il valori minimi riguardano le attività di acquisto di beni e servizi, con il 64% del lavoro svolto da donne non occupate e il 54% da donne occupate;
- I valori massimi si raggiungono in entrambi i casi per le attività di lavare e stirare, con il 98% del lavoro svolto da donne non occupate e il 95% da donne occupate;
- In media il lavoro domestico ricade per l'82% sulle donne non occupate e per il 71% sulle donne occupate.
La distribuzione del lavoro domestico nelle coppie può essere vista come la manifestazione di una versione moderna di patriarcato, denominata "patriarcato neoliberale" o "neopatriarcato", nel quale, anche se le donne hanno guadagnato maggiori diritti legali e accesso al mercato del lavoro, permangono disparità di genere attraverso meccanismi più sottili e talvolta mascherati da libertà di scelta individuale [8].
È importante per le donne sviluppare strategie efficaci per gestire il proprio Carico Mentale e preservare il proprio benessere psicologico [5].
Queste strategie possono includere:
- La delega delle attività;
- La creazione di routine ben strutturate;
- La pratica di tecniche di rilassamento;
- L’adozione di abitudini di cura di sé.
Tutto questo però non sarà mai sufficiente senza un effettivo sostegno sociale e supporto emotivo da parte dei propri partner, familiari e reti di supporto esterne.
Anche gli uomini potrebbero infatti trarre beneficio da una diversa ripartizione del lavoro emotivo e domestico, in termini di indipendenza e socializzazione, sarebbe dunque interesse di entrambi i sessi promuovere un maggior coinvolgimento degli uomini anche dal punto di vista emotivo nella vita familiare e sociale.
È importante dunque promuovere un cambiamento culturale che possa condurre a condizioni di equità di genere e condivisione delle responsabilità all’interno della famiglia e della società [5].
Ciò deve comportare una maggiore partecipazione degli uomini nelle attività domestiche e nella cura dei figli, nonché politiche organizzative che supportino il bilanciamento tra lavoro e vita privata per entrambi i sessi.
Conclusioni
Il concetto di Carico Mentale ci aiuta a mettere in luce la mole di sfide spesso invisibili che le donne affrontano ogni giorno e richiede agli uomini una presa di coscienza e un cambiamento verso la condivisione quotidiana delle responsabilità.
La consapevolezza e la discussione aperta su questi temi sono essenziali per costruire una società che permetta a ciascuno di fiorire, senza i condizionamenti culturali di un passato che dobbiamo ormai definitivamente abbandonare.
Bibliografia:
- Barigozzi F., Montinari N. e Vitellozzi S.: (2023): "Disparità di genere: l’invisibile peso dell’organizzazione familiare". Lavoce.info;
- Bianchi S.M., Robinson J. P. e Milkie M. A. (2006): "Changing Rhythms of American Family Life". The. Russell Sage Foundation;
- Coltrane S. (2010): "Gender theory and household labor". Sex Roles 63.11 (2010): 791-800;
- Daminger A. (2019): "The Cognitive Dimension of Household Labor". American Sociological Review, 84(4), 609-633;
- Emma (2020): "Bastava chiedere! Dieci storie di femminismo quotidiano". Laterza;
- Hochschild R. A. e Machung A. (2015): "The second shift : working families and the revolution at home". Penguin Books, New York;
- ISTAT (2023): "Distribuzione del carico di lavoro nelle coppie". Consultato il giorno 21 marzo 2024;
- Walby S. (1990): "Theorizing Patriarchy". Blackwell Pub.
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La Psicologia del Piacere Profondo
La Psicologia del Piacere Profondo
In questo articolo proviamo a capire come riconoscere e dare spazio agli elementi di piacere profondo che esistono spesso anche nelle nostre vite spesso frenetiche.
Per farlo, attingiamo al lavoro di uno psicologo ungherese-americano, Mihaly Csikszentmihalyi, che ha sviluppato la Teoria del "Flow" (o "Flusso"), detta anche Teoria dell'Esperienza Ottimale. [1]
1. Cos'è il Flow?
Il Flow è:
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"Lo stato in cui le persone sono così coinvolte in un'attività che nient'altro sembra avere importanza; l'esperienza in sé è così piacevole che le persone la svolgono per il puro piacere di farlo." [1]
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Ognuno di noi può portare alla mente un'Esperienza Ottimale. Per riconoscerla è sufficiente ricordare un'attività che produce in noi queste sensazioni:
- Sentiamo di avere controllo sulle nostre azioni;
- Siamo profondamente concentrati in ciò che facciamo;
- Abbiamo un'idea precisa dei nostri obiettivi e delle future ricompense;
- Non percepiamo alcuno sforzo;
- Dimentichiamo le preoccupazioni della vita quotidiana;
- Smettiamo di giudicarci;
- Il tempo passa senza che ce ne accorgiamo;
- Dopo aver terminato ci sentiamo rinvigoriti.
2. I tre pilastri del Flow
È importante sottolineare che l'Esperienza Ottimale non dev'essere né grandiosa né specifica. L'unica cosa che conta è che sia perfetta per noi.
Per tale ragione è chiamata anche Esperienza "Autotelica" (dal greco "Auto" = "autonomo" e "Telos" = scopo) o "Autosufficiente", il che significa la svolgiamo per il puro piacere di svolgerla e non per raggiungere qualche altro scopo attraverso di essa.
Qualche esempio:
- Insegnare ai bambini è Ottimale se lo facciamo per il genuino piacere dell'interazione con i bambini. Non è Ottimale se il nostro scopo è trasformarli in buoni cittadini.
- Giocare in borsa è Ottimale se lo facciamo perché ci dà piacere il "gioco" di prevedere le tendenze future. Non è Ottimale se lo facciamo al fine di guadagnare denaro.
L'Esperienza Ottimale non ha dunque un contenuto specifico ma ciascuno può identificare la propria in base a tre caratteristiche principali:
2a. Autonomia degli obiettivi
L'Esperienza Ottimale che dà luogo allo stato di "Flow" si verifica quando la nostra contentezza non dipende da nessun fattore esterno ma solo da noi.
Per coltivare esperienze ottimali dobbiamo quindi in primo luogo potenziare la nostra capacità di comprendere i nostri reali bisogni, tradurli in obiettivi e in piccole attività gratificanti e coltivare metodicamente queste attività senza lasciarci influenzare dall'ambiente che ci circonda.
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"Per superare le ansie (...) della vita contemporanea (...) una persona deve sviluppare la capacità di trovare piacere e scopo indipendentemente dalle circostanze esterne." [1]
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2b. Attenzione focalizzata
L'Esperienza Ottimale che dà luogo allo stato di "Flow" ha in secondo luogo inoltre la capacità di assorbire completamente la nostra attenzione, fino a farci dimenticare come già visto, le fatiche della vita quotidiana, le preoccupazioni per la nostra inadeguatezza e persino lo scorrere del tempo.
Per raggiungere questo stato di assorbimento occorre però imparare a focalizzare l'attenzione sulle attività e sugli obiettivi che soddisfano i nostri bisogni più autentici.
Non è un caso che la focalizzazione intenzionale dell'attenzione e la consapevolezza del momento presente siano anche pilastri della Mindfulness. Concetti simili alla focalizzazione dell'attenzione sono presenti sin dai testi antichi sia nella tradizione Vipassana che nello Zen.
La capacità di controllare la nostra attenzione è oggi una delle sfide più grandi poiché abbiamo accesso ad una quantità di informazioni senza precedenti nella storia e siamo circondati da tecnologie appositamente progettate per catturare la nostra attenzione, mantenendoci in uno stato di passività che nulla ha a che fare con lo stato di Flow.
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"Molte persone sentono che il tempo trascorso al lavoro sia essenzialmente sprecato. (...) Per molte altre anche il tempo libero è sprecato. (...) Di conseguenza, la vita trascorre in una sequenza di esperienze noiose e ansiose su cui una persona ha poco controllo." [1]
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2c. Equilibrio tra sfide e abilità
Lo stato di "Flow" si verifica, infine, quando il nostro arco è teso al punto giusto, ossia quando l'attività in cui siamo immersi presenta sfide che percepiamo come adeguate alle nostre abilità.
Saper riconoscere la presenza o l'assenza di tale equilibrio è una competenza chiave per identificare il nostro stato emotivo e di conseguenza ci permette, se possibile, di apportare gli appropriati correttivi per migliorare la situazione.
Per capire meglio come i nostri stati emotivi variano a seconda della combinazione fra sfide e abilità percepite può essere utile l'immagine che segue [2, 5], nella quale possiamo muoverci in varie direzioni:
- Da sinistra a destra: aumentano le nostre abilità percepite;
- Dal basso all'alto: aumentano le sfide percepite;
- Dal centro all'esterno: aumenta l'intensità dell'emozione.
Ogni combinazione tra sfide e abilità percepite genera un diverso stato emotivo:
- Noia: le sfide percepite sono basse mentre le abilità percepite sono medie;
- Apatia: le sfide percepite e le abilità percepite sono entrambe basse;
- Preoccupazione: le sfide percepite sono medie e le abilità percepite sono basse;
- Ansia: le sfide percepite sono alte mentre le abilità percepite sono basse;
- Eccitazione: le sfide percepite sono alte e le abilità percepite sono medie;
- Controllo: le sfide percepite sono medie e le abilità percepite sono alte;
- Rilassamento: le sfide percepite sono basse e le abilità percepite sono alte;
Solo nello stato di Flusso le sfide percepite sono alte e uguali alle abilità percepite. Questo corrisponde all'Esperienza Ottimale che dà piacere profondo.
3. Il Flow in Psicoterapia
L'applicazione della Teoria del Flow alla psicoterapia ha permesso di costruire interventi che introducono piccole modifiche nella vita quotidiana dei pazienti, cercando di orientarla verso esperienze che valorizzino i loro interessi e le loro abilità [3], [4].
Non serve un cambio radicale ma un graduale aiuto ad identificare le attività che i pazienti apprezzano e ad imparare come dedicare loro maggiore attenzione.
Il terapeuta può impiegare diverse strategie volte a:
- Modificare le percezioni dei pazienti riguardo alle loro abilità e alle sfide esterne;
- Potenziare la loro capacità di attenzione;
- Aiutarli nell'identificare le attività che forniscono piacere autentico;
- Suggerire modi per dedicare maggiore spazio a queste attività.
Per fare degli esempi concreti possiamo immaginare sette persone che si trovano in sette diversi stati emotivi e immaginare i suggerimenti che il terapeuta può dare per muoversi da tali stati verso l'ottavo stato, ossia la condizione di "Flow":
- Noia: Sofia si annoia facilmente al lavoro e non trova sfide che corrispondano alle sue abilità, portandola a sentirsi sottostimolata anche fuori dal lavoro. Il terapeuta potrebbe suggerirle di negoziare maggiori responsabilità con il suo datore di lavoro e, fuori dal lavoro, di iscriversi a corsi che la interessano e la sfidano;
- Apatia: Leonardo si sente disconnesso e non stimolato sia nel suo lavoro di ufficio che nella vita personale. Il terapeuta potrebbe suggerirgli di esplorare nuovi interessi, vecchie passioni che ha trascurato, o di iniziare un progetto personale o di volontariato che possa offrirgli nuove sfide e opportunità di crescita;
- Preoccupazione: Aurora si sente sopraffatta dalle nuove responsabilità e dubita delle sue capacità. Il terapeuta potrebbe suggerirle di riformulare i suoi obiettivi in piccoli passi gestibili e di sviluppare competenze specifiche attraverso una formazione pratica mirata ad aumentare la sua fiducia in sé stessa;
- Ansia: Francesco prova ansia a causa di aspettative lavorative che sente oltre le sue capacità. Il terapeuta potrebbe suggerirgli di rafforzare le sue strategie di gestione dello stress come la Mindfulness e di stabilire limiti realistici al lavoro;
- Eccitamento: Giulia si sente stimolata dalle sue attività lavorative che corrispondono alle sue abilità, ma questo stato le appare transitorio e instabile. Il terapeuta potrebbe suggerirle di stabilizzare questa condizione ampliando le sue abilità in modo da mantenere un equilibrio tra sfide e competenze;
- Controllo: Tommaso gestisce efficacemente le sue responsabilità lavorative, ma a volte ha la sensazione di non essere abbastanza sfidato da ciò che fa. Il terapeuta potrebbe suggerirgli di identificare nuovi obiettivi che gli forniscano nuova motivazione sia a livello professionale che personale;
- Rilassamento: Ginevra si sente competente nelle sue mansioni lavorative ma non abbastanza stimolata. Il terapeuta potrebbe suggerire di cercare attività che la spingano leggermente fuori dalla sua zona di comfort, come imparare una nuova lingua o una nuova abilità manuale o intellettuale.
4. Conclusioni
La vita è ben lontana dall'essere perfetta e lo stato di "Flow" può essere un'oasi in cui ci ristoriamo nel deserto delle sfide quotidiane o un'aspirazione che ci guida alla ricerca di una via verso il benessere.
Come abbiamo detto in un precedente articolo, "far durare e dare spazio" a ciò che già c'è di sano nelle nostre vite è un prezioso alleato per la prevenzione e la cura del disagio psicologico.
Nonostante le tante difficoltà che incontriamo quotidianamente, c'è una strada che ci permette di cercare, scoprire e coltivare esperienze di piacere profondo.
Questa strada richiede attenzione e cura ma è possibile percorrerla, se necessario con il più appropriato supporto.
Bibliografia:
- M. Csikszentmihalyi (1990): "Flow: The Psychology of Optimal Experience". Harper & Row, New York. Trad. It. Adriana Guglielmin (a cura di), "Flow. Psicologia dell’esperienza ottimale", ROI Edizioni. Milano, 2021.
- M. Csikszentmihalyi (1998): "Finding Flow: The Psychology Of Engagement With Everyday Life". Basic, New York.
- P. Inghilleri (1999): "From subjective experience to cultural change" Cambridge University Press. Cambridge.
- F. Massimini, M. Csikszentmihalyi e M. Carli (1987): "The monitoring of optimal experience: A tool for psychiatric rehabilitation". Journal of Nervous and Mental Disease, 175 (9), 545– 549.
- S. J. Lopez, C. R. Snyder (2002): "Handbook of Positive Psychology". Oxford University Press, New York.
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In vacanza dalle vacanze
In vacanza dalle vacanze
Con l'avvicinarsi della pausa natalizia, vogliamo offrirvi qualche spunto pratico che speriamo possa esser di aiuto per affrontare le emozioni complicate che spesso si presentano in questo periodo.
Il dolce-amaro Natale
L'American Psychological Association ha recentemente condotto un sondaggio sullo stress durante le festività, da cui sono emersi due dati interessanti:
- Donare fa bene: poiché stimola le aree del cervello connesse alla ricompensa, favorisce il rilascio degli ormoni del benessere (le endorfine) e riduce l'ormone dello stress (il cortisolo);
- Le festività causano stress: il 40% degli intervistati ha detto che nel periodo delle festività lo stress è maggiore rispetto agli altri periodi dell'anno. Il 63% degli intervistati userebbe parole come "opprimente" o "estenuante" a causa della necessità di trovare i "regali giusti" o dell'avere "troppe cose da fare" o del voler rendere "speciale" il momento festivo.
Riconoscere che le festività hanno un ruolo nell'aumentare il nostro stress può rivelarsi un'opportunità per provare ad andare in "vacanza dalle vacanze", ossia per provare ad uscire dagli schemi abituali di pensiero e di comportamento per provare a vivere questo periodo occhi nuovi.
Metterci nei panni dell'altro
Un buon modo per superare il giudizio altrui è quello di provare a metterci nei panni degli altri.
- Immaginiamo di organizzare una cena natalizia: potremmo avere la tendenza a pensare che i partecipanti si aspettino una cena perfetta e questo può farci sentire preoccupati o inadeguati;
- Proviamo per un istante a fermarci e a riflettere sul fatto che le altre persone potrebbero avere aspettative meno rigide delle nostre o diverse rispetto a quanto noi immaginiamo.
Potremmo, ad esempio, scoprire che:
- Nessuno si aspetta che sia tutto perfetto e che, anzi, forse anche gli altri si sentono sotto pressione durante le festività;
- La maschera di giudizio che gli altri sembrano indossare è una nostra immagine mentale;
- Le rigidità che gli altri a volte manifestano è un loro modo per nascondere un desiderio più profondo di accoglienza.
Ascoltare e accudire il nostro Sé
Un secondo prezioso alleato per ridurre lo stress natalizio è quello di provare ad ascoltare i nostri reali bisogni, partendo dai segnali che spesso si presentano sia a livello fisico che emotivo.
Potremmo ad esempio trovarci in una situazione in cui abbiamo fatto il massimo per fare dei regali "perfetti" ma continuiamo a sentire:
- Un senso di stanchezza fisica;
- Una sensazione di di vuoto emotivo;
- Un'inspiegabile insoddisfazione.
In questi casi possiamo dare un volto a queste sensazioni:
- Immaginiamo questo vuoto come un bambino smarrito che cerca qualcosa ma non sa cosa;
- Chiediamo al nostro bambino smarrito di cosa ha bisogno;
Forse ci risponderà che vuole essere solo accettato e amato per ciò che è, senza dover dimostrare nulla agli altri.
- Inviamo allora quel bambino tutto l'amore, l'accettazione e il senso di protezione di cui siamo capaci e rimaniamo ad ascoltare come reagisce. Se si sente ancora smarrito continuiamo con questa pratica.
Pian piano è possibile che la sua inquietudine si calmi e che anche noi, che siamo la versione adulta di quel bambino, possiamo ritrovare un maggiore senso di centratura e soddisfazione dentro di noi, senza doverla cercare in un ideale di perfezione.
"Avere o essere?"
Erich Fromm già nel 1976 aveva posto al centro della sua opera la distinzione tra due modalità di vivere totalmente diverse: quella fondata sull'avere e quella fondata sull'essere.
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"La differenza tra essere e avere è quella tra una società imperniata sulle persone e una società imperniata sulle cose".
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Per andare in vacanza dallo stress delle vacanze non serve un Natale pieno di "cose" perfette.
Ciò che davvero conta, e che può darci vero benessere, è dedicare questi giorni di pausa:
- Ad ascoltare ed accogliere i nostri bisogni emotivi e quelli delle persone a noi care;
- A creare un'atmosfera di calore e comunanza in cui ciascuno possa sentirsi libero di essere semplicemente sé stesso.
Bibliografia:
- American Psychological Association, "2023 Holiday Stress Survey Data";
- P. Fonagy, G. Gergely, E. L. Jurist e M. Target, "Regolazione affettiva, mentalizzazione e sviluppo del sé", Raffaello Cortina Editore, Milano 2005;
- E. Fromm, "Avere o Essere?", Mondadori, Milano, 1977;
- R.C. Schwartz,e M. Sweezy, "Internal family systems therapy", Guilford Publications, New York,, 2019.
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Ma cosa è questo stress?
Ma cosa è questo stress?
In questo articolo proviamo a capire meglio cos'è lo stress. Cercheremo di spiegare come mai è così diffuso, quali sono i meccanismi che attivano lo stress, quali sono i principali tipi di stress, quali sono le risposte fisiologiche da stress, e come prevenire lo stress quando compromette il nostro benessere fisico e psicologico.
Perché lo stress è così diffuso:
Lo stress è una risposta della mente e del corpo a qualunque minaccia per l'incolumità fisica o psicologica (McEwen e Lasley 2002). Esiste perché è molto utile per la sopravvivenza.
Non possiamo quindi eliminarlo ma comprenderlo, capire quando diventa dannoso e, se possibile, intervenire con alcuni accorgimenti pratici.
Stress acuto e stress cronico:
La durata dello stress è la chiave per capire la differenza tra stress "normale" (acuto) e stress "dannoso" (o cronico). Gli umani, a differenza degli animali, possono provare stress per lunghi periodi di tempo.
Come dice Robert M. Sapolsky nel libro "Perché alle zebre non viene l'ulcera?":
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«Per la stragrande maggioranza degli animali del pianeta lo stress è una crisi a breve termine, dopodiché o finisce lo stress o è la fine per loro. Quando noi ci preoccupiamo per lungo tempo, attiviamo le stesse risposte fisiologiche ma in maniera cronica. Se passiamo mesi e mesi a roderci il fegato nell'ansia, la rabbia e la tensione (...) è probabile che finiremo per ammalarci."»
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Risposte fisiologiche da stress:
Per capire come funziona lo stress proviamo ad immaginare il nostro corpo come una nave in mezzo al mare della vita. Se il capitano (cervello) percepisce una tempesta imminente prepara la nave (corpo) ad affrontarla tramite una serie di risposte coordinate:
- I muscoli del corpo si stringono come le corde della vela;
- I muscoli del volto si tendono come la bandiera in direzione del vento;
- La postura cambia come la posizione della nave, per affrontare le onde;
- Il cuore pompa più forte come il motore per navigare attraverso le onde;
- Lo stomaco e il sistema urinario si allertano come i radar per scandagliare le condizioni esterne;
- Gli ormoni dello stress sono come segnali di allarme che si accendono;
- La glicemia è come la riserva di energia che la nave accantona per essere pronta ad aumentare la velocità;
Queste reazioni del corpo producono un grande dispendio di energie e possono condurre a vere e proprie malattie da stress.
Queste malattie nascono, nella maggior parte dei casi, perché le nostre continue preoccupazioni mettono in moto per lunghi periodi di tempo un sistema fisiologico che si è sviluppato per rispondere a emergenze di breve termine.
Prevenzione dello stress:
La prevenzione dello stress cronico è essenziale per preservare la nostra salute a lungo termine.
Essa e si fonda su strategie e interventi mirati che hanno due obiettivi
- Ridurre l'intensità della risposta fisiologica allo stress;
- Ridurre la durata degli stati stressanti.
Nei prossimi articoli proveremo ad approfondire queste strategie e a spiegare il loro funzionamento.
Impara a gestire lo stress!
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Bibliografia:
- McEwen B e Lasley E.N. "The end of stress as we know it", Joseph Henry Press, New York, 2002.
- Sapolsky R. M. "Perché alle zebre non viene l'ulcera?", Castelvecchi, Roma, 2018
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Dimmi come ti pensi e ti dirò chi sei: quanto il nostro modo di definirci e essere definiti ci influenza
Dimmi Come Ti Pensi e Ti Dirò Chi Sei:
(Dott.ssa Valentina Pajola)
Chi ha intrapreso o sta affrontando un percorso di psicoterapia lo sa bene: le parole hanno un peso importante nella definizione di noi stessi, degli altri e della realtà in cui siamo immersi.
Il Circolo Vizioso delle Descrizioni Negative
Ecco quindi che se noi tendiamo a descrivere noi stessi con accezioni negative, tenderemo a incorporare e ad assumere quelle stesse caratteristiche. Questa tendenza porterà ad un circolo vizioso, in quanto saremo portati a notare quegli eventi e quelle situazioni che vanno a confermare la nostra teoria: ad esempio, se mi descrivo come una persona sfortunata, tenderò a notare, ricordare e riportare tutte quelle situazioni in cui ho avuto sfortuna, tralasciando tutte le situazioni che la disconfermano.
Lo stesso accade rispetto alle definizioni che diamo al mondo esterno. Ecco quindi che se ci convinciamo per esempio che il nostro superiore al lavoro ce l’ha con noi, saremo più portati a notare quei comportamenti che confermano questa assunzione, e ad agire di conseguenza: saremo magari più scontrosi nelle risposte, meno aperti nei suoi confronti, e questo comporterà un’inevitabile chiusura da parte dell’altro, confermando la nostra convinzione iniziale.
La Profezia Autoavverante
Il nostro modo di definire ed essere definiti diventa dunque una profezia che si auto-avvera: tale teoria, molto studiata, è stata trattata per la prima volta dal sociologo Robert K. Merton, e si riferisce proprio a quel fenomeno per cui quando qualcuno anticipa (“profetizza”) qualcosa, questa prospettiva ha buone probabilità di verificarsi, proprio perché i comportamenti messi in atto andranno a confermare e soddisfare questa credenza.
Effetto Pigmalione
Due studiosi, Robert Rosenthal e Lenore Jacobson, hanno provato a dare prova empirica di questo assunto in un esperimento pubblicato nel libro “Pigmalione in classe” (1968) che voleva verificare quanto l’aspettativa altrui, sia essa positiva o negativa, influenzi la realtà.
Nel famoso esperimento venne somministrato un test del Quoziente Intellettivo agli studenti di una scuola elementare, senza che i risultati venissero poi comunicati agli insegnanti.
Ciò che venne riferito fu solamente che alcuni studenti, che erano stati scelti in maniera del tutto casuale, avevano ottenuto un punteggio particolarmente buono che, se sostenuto e incoraggiato nella maniera adeguata, avrebbe potuto migliorare ulteriormente. Alla fine dello studio, al termine dell’anno scolastico, venne riproposto il test del Q.I. e i bambini scelti casualmente riportarono un netto miglioramento.
L'esperimento ha dunque portato in evidenza che le aspettative positive degli insegnanti hanno oggettivamente influenzato il rendimento degli studenti. Questo fenomeno, per cui aspettative positive comportano effetti positivi, è meglio conosciuto come “effetto Pigmalione”.
Effetto Golem
Lo stesso fenomeno può essere declinato al negativo, prendendo il nome di “Effetto Golem”, e si verifica quando le aspettative che abbiamo su noi stessi o sugli altri sono particolarmente basse.
Bibliografia:
- H. M. Collins e T. Pinch, "The Golem: What You Should Know About Science", Cambridge University Press, Cambridge, 1998
- R. K. Merton, "Self-Fulfilling Prophecy", The Antioch Review, Vol. 8, No. 2, pp. 193-210, 1948.
- R. K. Merton, "La profezia che si autoavvera", in Teoria e Struttura Sociale, II, Il Mulino, Bologna, 1971.
- R. Rosenthal e L. Jacobson, "Pigmalione in Classe: Aspettative dell’insegnante e sviluppo intellettuale degli allievi", Franco Angeli, Milano, 1992.
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Maschere, Bluff e altri intoppi
In questo periodo torna prepotentemente all’attenzione il concetto di maschera, ovvero di bluff, dall’inglese ingannare.
Si tratta di un camuffamento quotidiano che consiste nel nascondere, travestire le proprie emozioni o il proprio stato per farsi attribuire meriti non veri e riscuotere apprezzamento sociale. “Mi sento un bluff, prima o poi gli altri si accorgeranno che non valgo nulla”, “in attesa della promozione avevo ansia perchè pensavo di non farcela, poi, una volta ottenuta, sentivo un’ansia ancora maggiore... ora sarebbe stato chiaro a tutti che non ero all’altezza”, “ho sempre corrisposto alle aspettative degli altri, dei miei genitori, degli insegnanti, degli amici, è un modo per nascondermi, perché non sappiano chi sono veramente ma un giorno lo scopriranno e saranno delusi”. Questa percezione di un sè inadeguato, di cui si prova vergogna e che prima o poi si svelerà a tutti, viene sentita come necessaria per mantenere l’accettabilità e si accompagna allo sforzo costante di mostrare un’immagine all’altezza delle aspettative. Le due condizioni, il vero sé inaccettabile e quello apprezzabile esibito, sono strettamente correlate, l’una rende necessaria l’altra e la rinforza. La vergogna, profonda e radicata, rende impossibile acquisire fiducia e confidenza con sé stessi.
È all’attenzione delle cronache di questi giorni l’emergenza suicidi tra gli studenti, ragazzi che sentono di poter piacere solo se aderiscono a degli standard accademici predefiniti. Non riuscendo a soddisfarli creano un mondo di bugie attorno a loro, finché il peso di queste non è più sopportabile e anziché sottoporsi alla vergogna di mostrarsi per quello che sono, preferiscono togliersi la vita. Esiste una particolare esperienza sperimentata da persone che ottengono risultati significativi in ambito lavorativo, descritta fin dagli anni ‘70 come sindrome dell’impostore.
Si tratta di una percezione di inadeguatezza radicata in una scarsa autostima, che nessun risultato o successo può scalfire. La conseguenza consiste nell’effetto paradossale su questi soggetti dell’ottenimento dei riconoscimenti: invece che provocare gratificazione e maggiore fiducia, si produce la sensazione inquietante e quasi certa di un imminente futuro nel quale verranno smascherati e in cui si rivelerà al mondo la loro inadeguatezza. Queste osservazioni, inizialmente descritte in donne in carriera, hanno avuto negli ultimi tempi una forte diffusione, che ha visto nascere gruppi di auto aiuto e la pubblicazione di numerosi testi. È ipotizzabile che il fenomeno dell’impostore rappresenti la punta di un iceberg, collegato però ad una serie di esperienze in realtà molto diffuse nella quotidianità.
Se la maschera ha una funzione protettiva necessaria a difendere un sè ancora fragile e costruito su aspettative irrealistiche, prima di qualsiasi intervento di apertura è necessario aiutare la persona a sviluppare accettazione e fiducia, che possa portarla a valorizzare le proprie capacità e a tollerare la frustrazione di quelle caratteristiche che sente meno proponibili. In quest’ottica ognuno sarebbe più libero di esprimersi in modo autentico e in definitiva, umano.
Dot.sa Alessandra Franceschini
La gentilezza: una risorsa per migliorare la soddisfazione per la propria vita
Autore: Alberto Chiesa
Molto spesso le tradizioni contemplative hanno suggerito che per vivere una vita più piena e soddisfacente sia importante tanto una buona consapevolezza di sé quanto una coltivazione diretta di alcune specifiche qualità mentali e disposizioni d’animo salutari.
Tra le diverse tradizioni, una di quelle che ha fornito indicazioni più precise è stata certamente la tradizione buddista. Secondo questa tradizione, coltivare la consapevolezza di sé, via maestra per vivere una vita più integra e soddisfacente, può essere aiutata e sostenuta dal praticare atteggiamenti salutari, tra cui l’equanimità, la gioia compartecipe, la compassione e, appunto, la gentilezza, sia quella diretta sia verso sé stessi che quella diretta verso gli altri.
Secondo tale tradizione, infatti, queste qualità non sono innate e stabili, ma vanno coltivate e praticate intenzionalmente. È dalla pratica e la cura di queste attitudini mentali che possono nascere numerosi benefici, sia per gli atri che per noi stessi.
Cosa possiamo fare per fra crescere in noi la gentilezza?
Tra i modi più efficaci volti a coltivare intenzionalmente la gentilezza e tutti gli atteggiamenti mentali legati alla consapevolezza di sé, la pratica di alcune specifiche meditazioni basate sulla visualizzazione è da sempre stata indicata come uno dei mezzi più efficaci e potenzialmente praticabili da chiunque.
Un esempio di queste pratiche è la “Meditazioni di Metta”:
Mettiti in posizione seduta. Chiudi gli occhi. Quando hai trovato la tua concentrazione e sei connesso con il tuo corpo, cerca di rievocare una persona che è stata gentile con te. Immagina che diriga verso di te quella gentilezza con un abbraccio oppure che ti rivolga delle parole dolci, oppure che ti aiuti in qualche modo. Calati il più possibile nella scena cercando di sentire le emozioni e le sensazioni che provi in questa scena. Resta in ascolto di quelle sensazioni calde. Osserva come cambia il tuo stato interiore.
Se lo desideri puoi accompagnare questa esperienza con le parole “che io possa stare bene. Che io possa trovare la pace. Che io possa liberarmi dalle sofferenze non più necessarie”
Più recentemente si sono iniziati ad indagare da un punto di vista scientifico i possibili effetti positivi della coltivazione intenzionale della gentilezza. Una revisione della letteratura scientifica sul tema coordinata condotta da Xiaodan Gu e collaboratori dell’Università Nti di Pechino ha cercato di sintetizzare i risultati prodotti sino ad ora in un lavoro recentemente pubblicato sulla rivista Applied Psychology: Health and Well Being. Coerentemente con le ipotesi, gli autori hanno osservato che praticare quotidianamente meditazioni volte ad evocare uno stato di gentilezza può portare a significativi miglioramenti della soddisfazione della propria vita. Inoltre, gli autori hanno osservato che tali miglioramenti sarebbero mediati da un aumento dell’autocompassione (cioè della capacità di guadare ai propri “difetti” in modo benevolo come ad aspetti di possibile miglioramento di sé) e della tendenza a sperimentare emozioni positive come la felicità e la gioia.
Gli autori hanno quindi concluso che coltivare intenzionalmente la gentilezza, oltre che essere un atteggiamento positivo da un punto di vista relazionale, può portare a un incremento della felicità innanzitutto da parte di chi la pratica.
Reference:
Xiaodan Gu, Wenting Luo, Zhao Xinran, Yanyan Chen: “The effects of loving‐kindness and compassion meditation on life satisfaction: A systematic review and meta‐analysis” May 2022. Applied Psychology Health and Well-Being - Beijing Normal University
L’importanza della Gratitudine
“La gratitudine è la memoria del cuore”
(Lao Tse)
La parola gratitudine deriva dal latino gratus “piacevole, grato”. Viene definita come un sentimento di affetto e riconoscenza verso un’altra persona per qualcosa che ha fatto, ma implica anche altro. A tal proposito, lo psicologo Emerson la definisce come l’apprezzamento di ciò che è prezioso e significativo per sé stessi identificandone due componenti fondamentali: la presenza di cose buone nel mondo e nella propria vita; il riconoscimento che le fonti di questi aspetti positivi siano anche al di fuori di sé stessi.
La gratitudine è un’emozione affiliativa, che apre il cuore e permette di orientare la mente verso ciò che nella vita è positivo e buono, costituendo quindi un buon antidoto alla tendenza naturale della nostra mente a indugiare su tutto ciò che è assente o imperfetto. È anche un sentimento che nasce dalla consapevolezza dei doni che la vita ci mette continuamente a disposizione, riconoscendo il buono dei nostri scambi col mondo e quanto nutrimento riceviamo. Tramite la gratitudine entriamo in connessione più profonda con gli altri, la natura, il mondo. Senza gratitudine tutto quello che accade intorno passerebbe quasi inosservato. Provare l’emozione della gratitudine coinvolge una serie di fattori importanti per il nostro sviluppo psicologico.
Il National Institutes of Health indica l’importanza della gratitudine per la salute, perché produce cambiamenti nel flusso sanguigno all’interno del cervello e maggiori livelli di attività nell’ipotalamo e flussi più elevati di dopamina. La gratitudine aumenta il livello di vitalità, incrementa le emozioni positive e costituisce una protezione da stress e umore negativo; migliora anche le abilità di affrontare i problemi in situazioni di stress, di difficoltà e costituisce un fattore protettivo per la salute ed il benessere.
Inoltre, la ricerca scientifica e le neuroscienze hanno evidenziato come la gratitudine influisca sul nostro funzionamento psicofisico e sul nostro benessere tanto da produrre felicità, generare più soddisfazione, sviluppare l’ottimismo e migliorare le relazioni sociali. Inoltre, riduce il senso di rimpianto derivante dal confronto tra la percezione di come sono andate le cose nella vita e come invece sarebbero dovute andare. Riduce le emozioni tossiche, che derivano dal confronto sociale, che comportano risentimento e invidia. Migliora le relazioni sociali, favorendo la costruzione di nuovi legami, così come migliora le relazioni in essere.
La gratitudine è un seme intrinseco alla nostra natura, per questo può essere adeguatamente stimolata ed accresciuta come un seme nel nostro giardino.
Perché è utile dedicare del tempo a coltivare la gratitudine? Come possiamo innaffiare questo seme?
Quando siamo grati sperimentiamo tenerezza, gioia e quella leggerezza che ci accompagna quando sentiamo che anche in mezzo a difficoltà o fatiche, può esserci un sorriso, un gesto gentile, una parola, un regalo della natura. Possiamo cominciare a innaffiare il seme della gratitudine decidendo di istituire “la giornata delle gratitudine”, in cui ci alleniamo a dire cento volte grazie! ‘Grazie per’ a tutto ciò che incontriamo, alle cose semplici della vita, al fatto che siamo vivi, che abbiamo una casa, un amico, le mani, che camminiamo, che abbiamo il cibo. Possiamo iniziare a coltivare una riflessione serale, prima di andare a dormire, rivolgere la nostra attenzione agli eventi principali della nostra giornata e porci la domanda ‘ per cosa mi sento particolarmente grato?’… è una pratica che innaffia il seme dell’apprezzamento, del riconoscimento, della gratitudine ed è un antidoto alla tendenza della nostra mente a pensare per disastri o mancanze.
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Giornata Mondiale della Salute Mentale - 10 ottobre 2022 – Rendere la salute mentale e il benessere per tutti una priorità globale
Il 10 ottobre si celebra La Giornata Mondiale della Salute Mentale (World Mental Health Day) che è stata proposta nel 1992 dalla Federazione Mondiale per la Salute Mentale (WFMH) con l’obiettivo di promuovere una maggiore cultura della Salute Mentale e ridurre lo stigma sociale verso chi soffre.
Ogni anno la WFMH propone un tema diverso sul quale riflettere. Nel 2021 “Salute Mentale in un mondo ineguale” (Mental Health in an Unequal World) perché persiste una disparità di trattamento e di qualità dell’assistenza fornita tra chi soffre di malattie mentali e chi di altre patologie. Per il 10 ottobre 2022 l’invito rivolto a professionisti e istituzioni è quello di “rendere la salute mentale e il benessere per tutti una priorità globale” (make mental health and well- being for all a global priority).
Invito che nasce dall’urgenza di tenere alta l’attenzione sulle politiche di salute mentale, oggi diventato estremamente attuale a fronte di un aumento del bisogno e della domanda di assistenza. Infatti, la pandemia seguita dalla crisi economica, dalla guerra in Ucraina e dai sempre maggiori cambiamenti climatici, hanno chiesto a tutti noi di far fonte a un crescente senso di precarietà e incertezza per il nostro futuro che ha comportato un aumento significativo dei livelli di stress individuale.
Tale situazione ha inevitabilmente comportato un’ importante ricaduta anche sul piano della Salute Mentale comportando un aumento delle richieste e di conseguenza la necessità da parte delle istituzioni di ripensare i meccanismi organizzativi e i finanziamenti destinati a questo settore. La World Psychiatric Associacion (WPA) riporta chiaramente che terminata l’emergenza pandemica è emerso come nessuna Nazione mondiale si sia trovata pronta ad affrontare tale aumento di richiesta di aiuto.
In questa giornata siamo quindi tutti chiamati a interrogarci su come, anche singolarmente, possiamo contribuire per aiutare le persone bisognose d’aiuto e per sensibilizzare sempre più l’opinione pubblica sul bisogno di un aiuto più consistente.
Refereces:
https://insiemeperlasalutementale.it/la-gm-della-salute-mentale/
Il gioco d'Azzardo Patologico (GAP)
Il Gioco d’Azzardo Patologico (GAP) è riconosciuto ufficialmente dalla comunità scientifica come patologia dal 1980. Oggi si parla di disturbo da gioco d’azzardo (gambling) ed è definito come dipendenza comportamentale in quanto vengono attivati sistemi di ricompensa del cervello con effetti simili a quello delle droghe. La dipendenza è data, in questi casi dal comportamento invece che dalla sostanza.
Affinchè il gioco d’azzardo diventi da ricreativo a problematico è necessario considerare alcuni sintomi specifici: l’intensificazione degli accessi al gioco; un aumento delle spese; la comparsa di pensieri ricorrenti di gioco spesso accompagnati da distorsioni cognitive e fantasie di super vincite; aumento della ricerca di ambienti di gioco.
Il passaggio ad una dimensione patologica richiede: la comparsa di meccanismi difensivi di negazione con aumento della menzogna; depauperimento delle risorse economiche con indebitamenti; modificazioni delle abitudini di vita; cambiamenti dell’umore, aumento dell’aggressività; cambiamenti delle rete sociale e dei luoghi di frequentazione abituali. Da un punto di vista socio ambientale è frequente la presenza di problemi sul lavoro come l’assenteismo, il calo delle prestazioni fino alla perdita del lavoro stesso. Sono riscontrabili inoltre problemi in famiglia con conflitti con coniuge e figli e difficoltà economiche importanti.
Nei casi più gravi sono presenti anche tentativi di suicidio o suicidi portati a termine spesso con, associate, sintomatologie depressive, indebitamento consistente e difficoltà relazionali. L’incontrollabilità del comportamento di gioco insieme ai problemi finanziari possono far avvicinare la persona alle organizzazioni criminali del gioco illegale e soprattutto all’usura.
Lo sviluppo di questa dipendenza presuppone che ci sia una vulnerabilità preesistente al contatto con il gioco d’azzardo e, spesso ma non sempre, anche con le sostanze stupefacenti. Se questo contatto avviene in carenza di fattori protettivi
( scarso attaccamento parentale, deficit del controllo famigliare, bassa presenza di sistemi sociali protettivi) esiste il rischio che si instauri una vera e propria forma di addiction (dipendenza)
Gli elementi di vulnerabilità sono caratterizzati da una combinazione di fattori: fattori individuali intesi come alterazioni neurobiologiche che coinvolgono il sistema centrale della gratificazione; fattori psicosociali: il contesto favorente dato da relazioni famigliari conflittuali con scarsità di attenzione e prevenzione che tollera e promuove attivamente il gioco; fattori ambientali in relazione al facile accesso al gioco e l’effetto psicologico gratificante ed inibente su ansia, depressione e noia.
Il decorso comportamentale del GAP può essere rappresentato attraverso 7 fasi
( Rosenthal 1992).
La prima, di solito, è rappresentata dalla vincita, da un senso di prestigio e potere spesso accompagnata da onnipotenza.
La seconda fase è quella della perdita inaspettata con conseguente rincorsa della vincita desiderata ma seguita da continue perdite, con un andamento a spirale.
La terza fase viene descritta come la fase della disperazione con eventuale coinvolgimento in attività illegali, fantasie di fuga e spesso pensieri suicidari.
La quarta è la fase della rinuncia e della richiesta d’aiuto con incremento dei pensieri suicidari.
La quinta fase è quella del trattamento intensivo con tutte le difficoltà inerenti all’aderenza, alle prescrizioni e all’insorgere del craving ( inteso come desiderio irresistibile che comporta perdita di controllo) durante il trattamento.
La sesta fase è la fase della recidiva che può durare anche a lungo e del successivo ritorno alla cure.
La settima fase può avere due alternative: può essere quello del comportamento controllato con astinenza dal gioco o quello della continuazione del gioco patologico con aumento dei problemi finanziari.
Non solo le persone con GAP ma anche i famigliari possono ricorrere all’aiuto di professionisti sia nel pubblico (Ser.D territoriali) sia nel privato.
Dott.ssa Katia Guadagnini
Cos'è il perfezionismo?
Cos’è il perfezionismo?
Il perfezionismo è un costrutto multidimensionale e si riferisce al desiderio di raggiungere i più alti standard di performance unito alla tendenza a essere eccessivamente autocritici Frost RO et al., 1990; Hewitt PL, Flett GL, 1991).
Quando parliamo di perfezionismo dobbiamo distinguere tra il desiderio sano e adattivo di migliorarsi e mantenere standard elevati di rendimento, da un perfezionismo disfunzionale che ci porta invece a esperire frequentemente vissuti di ansia, tristezza, senso di colpa e rabbia e che può associarsi a diversi disturbi psicologici. In questo caso è presente un’esagerata preoccupazione di commettere errori, il perseguimento di standard personali irragionevoli e troppo elevati con conseguenti vissuti di inadeguatezza, un rigido autocriticismo e un’intensa percezione degli altri come critici ed esigenti.
Come si può capire se si ha un problema di perfezionismo patologico? Prova a rispondere a queste domande:
- Ti capita di essere così preoccupato di riuscire bene in ciò che fai da compromettere il rendimento effettivo del tuo lavoro?
- Ti capita di non rispettare le scadenze perché cerchi di eseguire anche la minima incombenza alla perfezione?
- Il tuo perfezionismo incide negativamente nel rapporto con colleghi o nei rapporti interpersonali in generale?
- Ti capita che qualcuno dei tuoi amici o familiari si lamenti del fatto che devi fare tutto alla perfezione?
- Ti capita di far aspettare altre persone a causa del tuo perfezionismo?
- Ci sono persone vicino a te che credono sia impossibile essere all’altezza delle tue aspettative?
- Il tuo perfezionismo ti impedisce di apprezzare il tempo libero?
- Quando ti dedichi a un hobby o pratichi uno sport ti sembra di “lavorare”?
- Senti l’esigenza di fare tutto alla perfezione anche quando cerchi di rilassarti o divertirti?
Se la risposta alla maggioranza delle domande è si, potrebbe essere utile parlarne con un professionista.
I pensieri del perfezionismo patologico
Avere un perfezionismo rigido porta a pensare in modo dicotomico in una modalità “tutto o niente” interpretando qualsiasi cosa come assolutamente giusta o assolutamente sbagliata senza riuscire a vedere le diverse sfumature possibili a seconda delle situazioni. L’ attenzione si concentra solo sugli aspetti negativi di una situazione portando a sopravvalutarne l’importanza con la convinzione di essere oggetto di giudizio critico da parte di altri. Il perfezionismo porta a fare pensieri catastrofici associati all’idea di non essere in grado di affrontare le conseguenze negative di un avvenimento. Si tende a pensare che rinunciare a standard troppo elevati sia inaccettabile e che sia possibile tenere tutto sotto controllo sentendosi eccessivamente responsabili nel dover predire e controllare qualsiasi imprevisto. Questo porta a rimuginare continuamente e a farsi guidare da affermazioni prescrittive verso se stessi e verso gli altri “dovrei/dovrebbe” portando a sentirsi facilmente ansiosi o arrabbiati.
Le conseguenze comportamentali del perfezionismo
È possibile suddividere i comportamenti perfezionistici in due tipologie principali:
- Comportamenti volti a soddisfare standard eccessivamente elevati: controllare ripetutamente la correttezza delle proprie azioni, ripetere più volte le stesse azioni per sentirsi più sicuri, passare molto tempo ad occuparsi di dettagli divenendo molto lenti nello svolgere lavori, non riuscire a prendere decisioni per paura di commettere un errore, cercare continue rassicurazioni, correggere spesso gli altri, non riuscire a delegare per poca fiducia nelle capacità altrui sovraccaricandosi di impegni.
- Comportamenti volti a evitare tutte le situazioni che possono attivare tali standard: rimandare/evitare impegni e l’inizio di attività o abbandonare prematuramente un obbiettivo perché non ci si sente abbastanza pronti o in grado di raggiungere la perfezione.
Tutti questi comportamenti se eccessivi ci possono portare ad avere risultati opposti da quelli sperati perdendo completamente il controllo sulla propria esistenza.
Per riuscire a gestire meglio questo problema può essere utile iniziare un percorso di psicoterapia volto a comprendere e lavorare sui pensieri rigidi cercando così di flessibilizzare il modo di pensare con l’obbiettivo di rendere il desiderio di migliorarsi e mantenere standard elevati una risorsa adattiva e non un problema che ostacola la vita sociale, interpersonale e lavorativa.
Dott.ssa Luana Lazzerini
Lo stress e la sindrome del colon irritabile (IBS)
Lo stress è un elemento naturale ed inevitabile nella vita che richiede un adattamento da parte dell’individuo. Anche i nostri stessi tentativi di rispondere ad una pressione o a un cambiamento possono essere fonte di stress in quanto non adeguati.
Secondo Seyle la malattia risulta essere un fallito tentativo di adattamento a condizioni stressanti e sono definiti “stressors” tutti gli stimoli interni o esterni (fisici, biologici o psicosociali) che ci causano stress.
Il cervello svolge un ruolo cruciale nel regolare il funzionamento dei processi che contribuiscono al nostro essere vivi.
Quando lo stress giunge al punto in cui la mente individua o immagina una minaccia per il proprio benessere fisico, per il senso di identità o per la propria posizione sociale, essa reagisce in un modo particolare e mette automaticamente in moto il sistema di allarme (l’amigdala) che ci spinge verso la reazione di attacco o fuga.
Certamente la reazione di attacco o fuga accresce la possibilità di sopravvivenza di un animale in una situazione pericolo. Questo non è un riflesso automatico ma una capacità intelligente ed evoluta per gestire situazioni complesse in cui è in gioco la sopravvivenza stessa. Le cose si mettono male quando non siamo in grado di servircene costruttivamente e agisce in noi in modo incontrollato in situazioni che in realtà non costituiscono un pericolo per la nostra vita.
Noi non incontriamo un leone mentre andiamo al lavoro, eppure la nostra mente percepisce gli eventi in termini di minaccia mortale per il nostro sistema e l'emozione esperita sarà tanto più intensa quanto più sarà grande la minaccia percepita. La reazione somatica al presunto pericolo è una reazione di allarme sostenuta da un aumento del tono adrenergico che mette l'organismo nelle condizioni migliori per combattere o fuggire. In tal modo i nostri canali di allarme restano cronicamente attivati. Questo ci espone a problematiche sia fisiche che psicologiche: aumentano le malattie infiammatorie, si accelera l’invecchiamento cellulare, rischio di diabete e alterazioni dell’appetito. Ognuno di noi sembra avere una parte del corpo preferenziale in cui si accumulano le tensioni: la mandibola, le spalle, il ritmo cardiaco accelerato, le mani sempre sudate, l’intestino. Questa reazione di stress incontrollata, quando diventa cronica può avere gravi conseguenze per la nostra salute fisica e psicologica.
La sindrome dell'intestino irritabile (IBS) è il disturbo gastrointestinale funzionale più diffuso che colpisce la qualità della vita di oltre il 15% della popolazione.
L'IBS è una condizione cronica e i sintomi includono: crampi, dolore addominale, gonfiore, gas e diarrea o costipazione, o entrambi.
Nel 50% dei casi non esiste una causa organica chiaramente dimostrabile. I medici visitano il paziente dalla testa ai piedi e non trovano niente di anormale.
Circa l’80% dei pazienti con IBS soffrono di disturbi psicologici, come depressione, panico, agorafobia e semplici fobie; l’altro 20%, che non soddisfa i criteri per un disturbo psicologico, lamenta paure e preoccupazioni che sono collegate direttamente ai loro sintomi e che possono contribuire notevolmente all’abbassamento del loro benessere, compromettendo la vita sociale, lavorativa ed affettiva.
Quando una persona sperimenta un sintomo come il dolore, può avere pensieri negativi sul dolore che causano paura e/o frustrazione, queste emozioni negative mettono il corpo in una risposta di "lotta o fuga", con un aumento degli ormoni dello stress, della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca. I cambiamenti nell'intestino fanno parte di questa reazione al pericolo che il corpo pensa di affrontare e possono includere diarrea, costipazione, dolore o disagio.
Il collegamento tra le malattie dell'apparato digerente e le malattie psicologiche indica la particolare relazione esistente tra il cervello e l'intestino. Il percorso tra il cervello e l'intestino è chiamato asse cervello-intestino, e si basa su messaggeri chimici per comunicare informazioni avanti e indietro sulla nostra digestione, appetito, pensieri ed emozioni. Tra i messaggeri chimici abbiamo la Serotonina nota per il suo impatto su umore, sonno, appetito e desiderio sessuale. Quindi il nostro stato emotivo è strettamente legato al funzionamento del nostro tratto gastrointestinale o meglio il funzionamento del nostro tratto gastrointestinale influenza le nostre emozioni e le nostre emozioni influenzano il funzionamento del nostro tratto gastrointestinale.
Tra le tecniche di psicoterapia nei pazienti con IBS, la CBT (Terapia cognitivo-comportamentale) è molto efficace nel diminuire l'ansia, l'agitazione e la depressione, nell'utilizzare le abilità di coping ed alleviare il dolore e altri sintomi.
La CBT si basa sulla convinzione che i nostri pensieri (cognizioni), emozioni e comportamenti sono tutti collegati: i pensieri disfunzionali “non utili” influiscono negativamente su come ci sentiamo e queste emozioni negative possono influire su come ci comportiamo. Prendendo consapevolezza e modificando i nostri pensieri e comportamenti per renderli più funzionali, possiamo migliorare il nostro stato emotivo.
Pertanto se impariamo a riconoscere la tendenza a entrare direttamente in una reazione di stress e impariamo a modularla con una risposta più consapevole, ossia se impariamo a riconoscere che la nostra valutazione istantanea di una minaccia è spesso erronea e genera inutile sofferenza e paura, possiamo migliorare il nostro benessere.
Dottoressa Enza Cannavale
- Irritable bowel syndrome treatment: cognitive behavioral therapy versus medical treatment Majid Mahvi-Shirazi, Ali Fathi-Ashtiani, Sayed-Kazem Rasoolzade- Tabatabaei, and Mohsen Amini, 2012
- Irritable bowel syndrome_ Mayo Clinic, 2021
- B. Toner, Z. Segal, S. Emmott, D. Myran “Cognitive-Behavioral Treatment of Irritable Bowel Syndrome” Guildfor Press 2000
- Cognitive Behavioral Therapy for IBS and Other FGIDs by Alyse Bendell, MS; Northwestern University Feinberg School of Medicine, and Laurie Keefer, PhD, Icahn School of Medicine, Mount Sinai, New York, NY, Adapted by Abigale Miller, 2021