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In questo articolo partiamo da una filastrocca di Gianni Rodari per affrontare il tema del “bambino di gesso”. Scopriremo come l’iperconnessione digitale possa influenzare la crescita emotiva e cognitiva dei più piccoli, offrendo spunti di riflessione e possibili soluzioni educative (a cura della Dott.ssa Valentina Pajola).

Lunedì, 05 Agosto 2024 10:20

Gli abbracci di oggi sono le ali del domani

Gli abbracci e altre forme di contatto fisico affettuoso non sono semplici gesti di amore e cura, ma svolgono un ruolo fondamentale nel plasmare il cervello e il comportamento dei più piccoli. Numerose ricerche hanno dimostrato che queste esperienze di contatto fisico influenzano non solo il loro benessere immediato, ma anche le loro capacità cognitive, emotive e sociali a lungo termine.

1. Effetti di un abbraccio mancato

Nel 2000, il professor Charles Nelson, specialista in neuroscienze dello sviluppo, visitò l'orfanotrofio di Santa Caterina a Bucarest, Romania, struttura che faceva parte di una rete di orfanotrofi statali nei quali si trovavano 170.000 bambini, molti dei quali mostravano patologie come il disturbo da deficit dell'attenzione e iperattività (ADHD) e l'autismo (Oberhaus 2022).

Questa visita portò alla nascita del Bucharest Early Intervention Project (BEIP), un progetto di ricerca che ha studiato per più di 20 anni le differenze tra bambini rimasti in orfanotrofio e quelli affidati a famiglie adottive.

Il BEIP ha mostrato che la mancanza di interazioni sociali e stimoli emotivi nella prima infanzia (deprivazione psicosociale precoce) influisce significativamente sullo sviluppo cerebrale dei bambini (Nelson et. al 2007, Forsell e Åström 2012).

Ciò accade poiché il cervello si sviluppa gradualmente dalla nascita all'età adulta ma la sua capacità di cambiare in risposta agli stimoli esterni è massima nei primi anni di vita e diminuisce con il passare del tempo.

[Neuroplasticità negli anni - Fonte: Levitt 2009]

 

2. Cosa succede quando si abbraccia

L'abbraccio e tutte le stimolazioni cutanee piacevoli:

  • Stimolano specifici recettori della pelle, i quali trasmettono segnali ad una parte del cervello chiamata ipotalamo (Moschetti 2007);

  • Quando l'ipotalamo si attiva, produce ossitocina, un ormone che aumenta la tendenza all'interazione sociale, alla creazione di legami positivi, riducendo allo stesso tempo ansia, paura, dolore, infiammazione e stress (Moberg et al. 2020);

  • L'ipotalamo inoltre comunica con le aree del cervello responsabili della regolazione delle emozioni, producendo effetti calmanti, come la riduzione del cortisolo, della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca  (Uvnäs-Moberg, 1998).

 

[Dalla pelle al cervello, immagine semplificata]

 

3. Abbraccio e "Attaccamento"

L'abbraccio è parte di un più ampio insieme di esperienze di cura che genera un legame emotivo profondo e duraturo tra i bambini e i loro caregivers principali (genitori o coloro che li accudiscono). In psicologia questo legame è chiamato "Attaccamento" (Bowlby 1969) ed ha un'importanza capitale nello sviluppo psicologico.

Le diverse esperienze di attaccamento che i bambini sperimentano nella prima infanzia hanno ripercussioni sui loro tratti psicologici e sulla predisposizione a diverse forme di disagio nell'età adulta (Ainsworth et al. 1978, Main e Solomon 1986):

  • Quando i caregiver sono emotivamente disponibili, sensibili e rispondono adeguatamente ai bisogni del bambino, si sviluppa il cosiddetto attaccamento sicuro, in cui il bambino tende a mostrare fiducia nel caregiver, esplora liberamente l'ambiente e cerca conforto dal caregiver quando è angosciato. Ciò può ridurre nell'età adulta la probabilità di disturbi come ansia e depressione.

  • Quando i caregiver non sono emotivamente disponibili, si sviluppa il cosiddetto attaccamento insicuro-evitante, in cui il bambino tende a evitare il caregiver, non cerca conforto durante i momenti di stress e non mostra preferenza tra un caregiver e un estraneo. Ciò può aumentare nell'età adulta la probabilità di disturbi dell'umore e disturbi di personalità evitante.

  • Quando i caregiver sono inconsistenti nelle risposte, a volte sensibili e altre volte insensibili, si sviluppa il cosiddetto attaccamento insicuro ambivalente / resistente, in cui il bambino tende a essere molto ansioso e insicuro, cerca vicinanza ma mostra resistenza e rabbia verso il caregiver. Ciò può aumentare nell'età adulta la probabilità di disturbi come disturbi d'ansia e disturbo borderline di personalità.

  • Quando i caregiver sono spaventati o spaventanti, contraddittori e imprevedibili, si sviluppa il cosiddetto attaccamento disorganizzato, in cui il bambino tende a mostrare comportamenti confusi, e può mostrare segni di disorientamento o paura nei confronti del caregiver. Ciò può aumentare nell'età adulta la probabilità di disturbi come disturbi dissociativi e disturbo post-traumatico da stress.


Uno studio del 2016 ha dimostrato che l'abbraccio, e in generale tutte le dimostrazioni esplicite di affetto, hanno delle conseguenze significative anche sulle competenze sociali dei bambini (Altschul et al. 2016). L'analisi dei dati di 3.279 famiglie urbane degli Stati Uniti nel periodo 0-5 anni ha dimostrato che:

  • La dimostrazione di calore da parte della madre è correlata all'incremento delle competenze sociali dei bambini;
  • Pratiche come lo sculacciamento all'età di 3 anni sono associate ad un incremento dell'aggressività;


4. Conclusioni

L'esposizione agli abbracci o manifestazioni d'affetto esplicite durante l'infanzia è fondamentale per lo sviluppo di:

  • Capacità cognitive emotive e sociali dei bambini;
  • Attaccamento sicuro;
  • Salute mentale in età adulta;

E' importante dunque:

  • Sensibilizzare i genitori sull'importanza di manifestazioni di affetto esplicite;
  • Promuovere ambienti familiari che supportano l'abbraccio e il contatto fisico;
  • Integrare, laddove necessario, il contatto fisico negli approcci terapeutici;

 

Bibliografia:

 

 

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Inside Out 2: genitori e adolescenti

La serie di film d'animazione "Inside Out" ha stupito tutti per la capacità di esplorare il complesso mondo delle emozioni adolescenziali.

  • Il primo episodio, uscito nel 2015, aveva mostrato come le emozioni guidano le nostre azioni e influenzano le nostre relazioni sin da bambini;
  • "Inside Out 2", uscito il 19 giugno scorso, spiega come le emozioni si evolvono e si intensificano durante l'adolescenza.

Il film esplora in prima persona le emozioni della giovane protagonista. In questo articolo proviamo ad affrontare i temi del film dal punto di vista dei genitori di adolescenti.

 

1. L'adolescenza: un viaggio tra autonomia e bisogno di sostegno

L'adolescenza è una fase di transizione cruciale, un viaggio emozionante e talvolta tumultuoso verso l'età adulta. Durante questo periodo, i ragazzi sperimentano un intenso bisogno di

  • Definire i propri confini;
  • Affermare la propria individualità;
  • Esplorare il mondo al di là della famiglia.

Il neuropsichiatra Daniel Siegel, nel libro "La mente adolescente" ci offre una preziosa chiave di lettura di questa fase dal punto di vista neuroscientifico.

Siegel descrive l'adolescenza come un periodo di intensa ristrutturazione cerebrale, in cui:

  • Si sviluppano aree del cervello legate all'empatia, alla creatività e alla capacità di prendere decisioni;
  • L'area prefrontale del cervello, responsabile del controllo degli impulsi e della pianificazione a lungo termine, è ancora in fase di maturazione.

Questo spiega perché gli adolescenti sono spesso, allo stesso tempo:

  • Impulsivi, emotivi e talvolta ribelli;
  • Incredibilmente aperti a nuove esperienze, idee e relazioni.

 

2. "Inside Out 2" e gli attacchi di panico

Una delle scene più emblematiche di "Inside Out 2" è quella in cui la giovane protagonista sperimenta un attacco di panico

In questa scena l'emozione dell'ansia, una delle nuove protagoniste del film, ha un ruolo essenziale

Occorre prima di tutto fare una distinzione tra le diverse forme che l'ansia assume e alle sue diverse classificazioni cliniche:

  • Ansia fisiologica: emozione percepita pressoché da qualunque essere umano, generalmente caratterizzata da una sensazione di apprensione, spesso accompagnata da sintomi fisici (tachicardia, accelerazione del respiro etc…). Il suo scopo principale è quello di segnalare un pericolo imminente e mobilitare le risorse necessarie a prepararsi alla lotta o alla fuga;
  • Disturbi d'ansia: si manifestano quando l'ansia si attiva anche in situazioni prive di pericolo imminente, ripetutamente e con un’intensità tale da compromettere la qualità di vita, la sua funzionalità sociale o lavorativa (Baxter et al. 2013, Penninx et al. 2021). In questa categoria rientrano molti disturbi, tra cui il disturbo d’ansia generalizzata (DAG), il disturbo d’ansia sociale (DAS) e il disturbo da attacchi di panico (DAP) (Harvey et al. 2004, Sassaroli et al. 2006; APA 2013);
  • Disturbo da attacchi di panico (DAP): disturbo d'ansia caratterizzato da attacchi di panico ricorrenti, inaspettati e non riconducibili a uso di farmaci, droghe o altri disturbi mentali. Nel DAP almeno uno degli attacchi di panico è seguito da un mese o più di timore che ne possano verificare altri, il che induce a cambiare comportamento, spesso evitando situazioni che potrebbero scatenare un attacco. (APA 2013);
  • Attacco di panico: episodio singolo di ansia estrema in cui si manifestano almeno quattro dei seguenti sintomi: battito cardiaco accelerato, sudorazione, tremori, mancanza di respiro, sensazione di strangolamento, dolore o fastidio al petto, nausea o disturbi addominali, vertigini, instabilità, sensazione di svenimento, sensazioni di irrealtà o di essere distaccati da se stessi, paura di perdere il controllo o di "impazzire", paura di morire, intorpidimento o formicolio, brividi o vampate di calore (APA 2013).

 

3. Genitori di adolescenti: un equilibrio delicato

Anche se il tratto più manifesto dell'adolescenza è la ricerca di autonomia, gli adolescenti mantengono un profondo bisogno di sostegno, guida e connessione emotiva con i genitori. Il ruolo del genitore in questa fase è dunque fondamentale e richiede un delicato equilibrio.

  • Da un lato, è importante rispettare il bisogno degli adolescenti di esplorare, sperimentare e costruire la propria identità. Questo significa accettare che i figli possano avere opinioni, interessi e valori diversi dai nostri.
  • Dall'altro lato, è altrettanto importante offrire un sostegno costante, un porto sicuro in cui tornare nei momenti di difficoltà. Questo significa essere presenti, ascoltare senza giudicare, offrire consigli quando richiesti e dimostrare amore incondizionato.

3.1. Tre errori tipici dei genitori

Essere genitori di adolescenti può essere una sfida complessa e spesso frustrante. Comprendere gli errori comuni che i genitori possono commettere è il primo passo per costruire relazioni più solide e supportare meglio i propri figli:

  • Il genitore ipercritico: si concentra sugli errori e sulle mancanze dei figli, criticandoli costantemente. Questo può danneggiare l'autostima degli adolescenti e portare a un senso di inadeguatezza.
  • Il genitore distante: è emotivamente assente e non si interessa alla vita dei figli. Questo può portare degli adolescenti a sentirsi soli, abbandonati e incapaci di stabilire relazioni sane.
  • Il genitore "troppo amico": cerca di essere il migliore amico dei figli, evitando di stabilire regole e limiti. Questo può portare gli adolescenti a sentirsi confusi, insicuri e incapaci di sviluppare un senso di responsabilità.

3.2. Cosa fare se un adolescente ha un attacco di panico

L'attacco di panico di un adolescente può essere un'esperienza spaventosa sia per colui o colei che la sperimenta che per il genitoreDurante un attacco di panico, l'adolescente è sopraffatto da emozioni intense come paura, ansia e confusione.

I genitori possono svolgere un ruolo cruciale nell'aiutare i figli in questo delicatissimo momento, aiutandoli ad "integrare le loro emozioni", ovvero a:

  • Riconoscerle, comprenderle e dare loro un nome;
  • Capire che sono temporanee e non pericolose;
  • Capire che è normale sentirsi spaventati e che non c'è nulla di sbagliato in chi le sperimenta;
  • Capire che è saggio accettare queste emozioni come parte dell'esperienza umana.

Questo fondamentale supporto nell'integrazione richiede ai genitori di:

  • Impostare la relazione con i propri figli adolescenti sulla base di caratteristiche salutari di base;  
  • Adottare accortezze specifiche nel caso di eventi come gli attacchi di panico.

A. caratteristiche salutari di base nella relazione con gli adolescenti 

  • Comunicazione aperta: create uno spazio sicuro in cui i vostri figli possano esprimere liberamente i propri pensieri e sentimenti, senza paura di essere giudicati;
  • Ascolto attivo: prestate attenzione a ciò che i vostri figli dicono, sia con le parole che con il linguaggio del corpo. Cercate di capire le loro emozioni e i loro bisogni;
  • Flessibilità: siate disposti a negoziare e a trovare compromessi. Non tutte le battaglie meritano di essere combattute;
  • Empatia: mettetevi nei panni dei vostri figli. Ricordate come vi sentivate alla loro età;
  • Sostegno incondizionato: fate sapere ai vostri figli che li amate e li sostenete, indipendentemente dai loro errori o dalle loro scelte.

B. Accortezze specifiche in caso di adolescenti con attacchi di panico

  • Mantenere la calma: è fondamentale che il genitore rimanga calmo e rassicurante. Un atteggiamento ansioso o allarmato potrebbe peggiorare la situazione;
  • Creare un ambiente sicuro: trovare un luogo tranquillo e confortevole dove l'adolescente possa sentirsi al sicuro;
  • Respiro e grounding: incoraggiare l'adolescente a concentrarsi sul respiro, inspirando ed espirando lentamente. Si possono anche utilizzare tecniche di grounding (radicamento), come toccare oggetti o concentrarsi sui suoni circostanti, per aiutare l'adolescente a tornare al presente;
  • Validazione emotiva: far capire ai vostri figli che voi comprendete e accettate le loro emozioni. Frasi come "Capisco che tu sia spaventato" o "È normale sentirsi così" possono essere di grande aiuto;
  • Evitare di minimizzare: non sminuire l'esperienza degli adolescenti con frasi come "Non è niente" o "Devi solo calmarti". Questo potrebbe farli sentire incompresi e invalidati.
  • Offrire supporto fisico: un abbraccio, una carezza o semplicemente tenere la mano dei vostri figli può trasmettere un senso di sicurezza e vicinanza.
  • Cercare aiuto professionale: se gli attacchi di panico diventano frequenti o interferiscono con la vita quotidiana dell'adolescente, è importante consultare un professionista della salute mentale.

 

Conclusioni:

Nessun genitore è perfetto e tutti commettiamo errori. Tuttavia, essendo consapevoli della peculiarità del rapporto tra adolescenti ed emozioni, possiamo cercare di costruire relazioni più sane e supportive con i nostri figli adolescenti.

Un genitore attento, secondo Siegel, è colui che riesce a creare un ambiente familiare caratterizzato da "connessione e direzione". Questo significa essere presenti, ascoltare, validare le emozioni, stabilire limiti chiari e offrire un sostegno costante, pur rispettando l'individualità e l'autonomia del figlio.

L'adolescenza può essere un periodo impegnativo, ma anche ricco di opportunità di crescita e di connessione.

Con pazienza, comprensione e amore, i genitori possono accompagnare i propri figli in questo straordinario viaggio verso l'età adulta.

 

Bibliografia:

 

 

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Bullismo e Cyberbullismo: Impatti, Conseguenze e Strategie di Prevenzione

(di Arianna Tarabelloni)

Il bullismo è un comportamento aggressivo e ripetitivo che mira a far del male a una persona più vulnerabile.

Può manifestarsi in vari modi, anche attraverso il web, il cosiddetto cyberbullismo:

  • Violenza fisica,
  • Violenza verbale
  • Violenza psicologica.

L'incidenza del bullismo in Italia è piuttosto alta: alcuni dati mostrano che circa il 15% degli studenti ha dichiarato di aver subito episodi di bullismo almeno una volta nella vita.

Il bullismo può avere gravi conseguenze sulle vittime.

  • Ansia
  • Depressione
  • Bassa autostima
  • Difficoltà di concentrazione
  • Isolamento sociale
  • Difficoltà nei rapporti con gli altri
  • Disturbi del sonno
  • Disturbi alimentari.

In alcuni casi il bullismo può portare a sviluppare un PTSD (Disturbo Post-Traumatico da Stress), una condizione che si sviluppa in seguito a un evento traumatico e può comportare sintomi come ansia, depressione, flashbacks, attacchi di panico e problemi di sonno. Tale condizione è causata

  • Dall'esperienza di abusi fisici o psicologici ripetuti, dalla costante paura e ansia che derivano dalla situazione;
  • Dallo scarso supporto delle figure di riferimento, come genitori o insegnanti, tipici delle situazioni di bullismo.

Contrariamente alle aspettative, si possono osservare delle ripercussioni del bullismo anche sugli aggressori stessi.

Spesso infatti i bulli:

  • Manifestano problemi comportamentali e disciplinari;
  • Presentano un rischio maggiore di coinvolgimento in condotte criminali e violente;
  • Hanno maggiori difficoltà a mantenere relazioni sane e positive;
  • Sperimentano ricadute negative sulle loro abilità e possibilità di adattamento sociale e professionale nel presente e nel futuro.

Il bullismo ha quindi un impatto negativo sulla salute mentale e sul benessere generale di tutte le persone coinvolte.

È pertanto importante sensibilizzare sull'argomento e lavorare per prevenirlo e contrastarlo attivamente.

Alcuni fattori protettivi del fenomeno del bullismo includono:

  • Un buon supporto familiare: i bambini e gli adolescenti che hanno genitori che li supportano e li guidano sono meno vulnerabili al bullismo;
  • Buone relazioni con i pari: avere amicizie sane e positive può proteggere i ragazzi dal bullismo;
  • Aderire a valori positivi: i bambini che hanno una solida base di principi e valori possono essere meno inclini a partecipare al bullismo;
  • Essere sicuri di sé: avere una buona autostima e una sana fiducia in sé stessi può aiutare a proteggere i ragazzi dall'essere vittime di bullismo;
  • Essere coinvolti in attività extrascolastiche: partecipare a sport, attività creative o gruppi è un modo per costruire le connessioni sociali e promuovere un senso di appartenenza che protegge contro il bullismo;
  • Essere sensibilizzati sull'argomento: istruire i ragazzi sul bullismo, sulle conseguenze e su come affrontarlo in modo costruttivo può aiutare a prevenirlo.

Il governo italiano ha adottato misure per contrastare il fenomeno del bullismo nelle scuole, ma è ancora necessario lavorare per sensibilizzare l'opinione pubblica e promuovere una cultura del rispetto e dell'inclusione.

È importante inoltre che le vittime di bullismo possano avere accesso alla psicoterapia tramite i servizi di consulenza e supporto psicologico offerti da scuole, professionisti privati o centri specializzati, in modo da poter ricevere il supporto e l'aiuto necessario per affrontare i problemi emotivi e psicologici derivati.

 

Bibliografia:

 

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Venerdì, 13 Ottobre 2023 09:07

Nuove famiglie e nuovi genitori

Nuove famiglie e nuovi genitori

(Dott.ssa Katia Guadagnini)

Fruggeri (2005) individua elementi di discontinuità rispetto alla “famiglia tradizionale” che caratterizzano le diverse esperienze di famiglia. 

La genitorialità è:

  • Adeguata anche in assenza di generatività (famiglie adottive e/o affidatarie) e in assenza della relazione coniugale come nel caso della mono-genitorialità (ragazze madri/ragazzi padri vedovanza etc.)
  • Svincolata dal matrimonio e funzionante anche in situazioni di famiglie allargate e ricomposte
  • Indipendente dalle caratteristiche di genere dei genitori (famiglie omo-parentali).

Genitorialità ed omo-genitorialità:

Come possiamo definire la genitorialità? E’ un sistema di cura dinamico e complesso costituito da elementi diversi.

Visentini (2006) individua le seguenti funzioni genitoriali:

  • Provvedere all’Altro conoscendo gli aspetti corporei e mentali in continuo cambiamento;
  • Riconoscere i segnali di bisogno dell’Altro, saper empatizzare;
  • Saper decentrare il proprio Io in funzione dell’Altro;
  • Saper cogliere la soggettività dell’Altro;
  • Garantire protezione non solo per la cura fisica ma anche dal punto di vista relazionale;
  • Saper entrare in risonanza affettiva mantenendo la separazione;
  • Garantire regolazione, dare dei limiti;
  • Accompagnare nel raggiungimento di tappe evolutive, sostenendone i diversi bisogni;
  • Garantire la funzione transgenerazionale mettendo l’altro dentro una storia.

La persona omosessuale può essere un genitore competente?

La famiglia omosessuale, gay o lesbica, può essere un ambiente sufficientemente buono per far crescere un figlio?

Taurino (2012) afferma:

“(...) non ci sono presupposti teorico concettuali, al di là di visione preconcette, sulla base dei quali è possibile asserire che un soggetto con orientamento omosessuale sia un individuo incapace di garantire protezione, affetto, cura e sicurezza (...). Allo stesso modo non è possibile affermare che una persona eterosessuale sia “normalmente” in grado di adempiere in modo sufficientemente responsivo ai compiti che la genitorialità propone”. E ancora: “(...) la validità di un nucleo non si fonda sul modello strutturale o sulla presunta “naturalità” ma piuttosto sulla qualità delle relazioni tra le persone che lo compongono (...) di conseguenza l’orientamento sessuale sia esso etero o omosessuale, non è una variabile da prendere in considerazione per valutare la qualità delle competenze genitoriali di una persona”.

Con questo non si vuole sostenere che la famiglia omosessuale e quella eterosessuale siano sovrapponibili.

Le differenze esistono ma l’errore è individuarle con atteggiamento etero-centrico ed etero-normativo:

  • l’etero-centrismo indica la centralità culturale dell’eterosessualità nella società, non come norma imposta, ma come consuetudine e discorso dominante.
  • l’etero-normatività è l’imposizione dell’eterosessualità come norma in quanto unico orientamento sessuale culturalmente e socialmente legittimato.

I figli di coppie omosessuali presentano livelli di adattamento, autostima e benessere emotivo così come di ansia e depressione simili a quelle dei figli di coppie eterosessualilo stesso avviene per le funzioni cognitive.

Sono stati espressi timori sull’influenza che genitori gay o lesbiche possono avere sullo sviluppo psicologico dei figli.

  • Un primo timore riguarda un possibile condizionamento rispetto all’orientamento sessuale e all’identità di genere dei figli ma si è visto in realtà che non esistono significativi spostamenti rispetto alle famiglie eterosessuale.
  • Un secondo timore è che altri aspetti dello sviluppo del bambino possano essere compromessi ma tale ipotesi non ha presentato riscontri empirici.
  • Una terza preoccupazione riguarda le inevitabili difficoltà incontrate dai bambini nelle relazioni sociali dovute alla stigmatizzazione della loro famiglia.

Tali difficoltà riguardano micro-aggressioni omofobe (messaggi critici offensivi portatori di stereotipi e mancanza di rispetto) ricevuti quotidianamente che si presentano denigratori con lo scopo di offendere e discriminare. La natura subdola di questo atteggiamento rende difficile la difesa della persona che le subisce.

A questo proposito il compito della società, della cultura e delle professioni d’aiuto, è fondamentale per garantire sicurezza e riconoscimento a queste famiglie e a queste persone.

Le ricerche sui genitori omosessuali, infatti, evidenziano, come unica condizione di svantaggio, quella legata alla discriminazione e allo stigma sociale sulla famiglia omo-genitoriale.

L’insieme dei disagi psicologici a cui sono sottoposte le minoranze sessuali viene denominato "minority stress" e si compone di tre dimensioni che si intrecciano e potenziano:

  • esperienze vissute di discriminazioni e violenza,
  • stigma percepito
  • omofobia interiorizzata.

L'omofobia interiorizzata è intesa come l'insieme di sentimenti e atteggiamenti negativi che una persona può provare più o meno consapevolmente sulla propria omosessualità, dalla scarsa accettazione e stima di sé fino anche all'autodisprezzo, con sentimenti di incertezza, inferiorità e vergogna e convinzione di essere rifiutati. La persona rischia cioè di identificarsi con gli stereotipi denigratori.

Buona parte delle obiezioni alla genitorialità di persone omosessuali può essere rubricata sotto la voce “è contro l’interesse del bambino”. Eppure, è proprio questa l’espressione scelta dall’American Psychoanalytic Association (2002-2012) per affermare che l’interesse del bambino è sviluppare un attaccamento verso genitori coinvolti, competenti e capaci di cure e di responsabilità educative” e che la “valutazione di queste qualità genitoriali dovrebbe essere determinata senza pregiudizi rispetto all’orientamento sessuale”

 

Bibliografia:

  • Nicola Carone: “Le famiglie omogenitoriali”, Raffaello Cortina Editore, Milano 2021;
  • Laura Fruggeri: “Diverse normalità. Psicologia sociale delle relazioni famigliari”, Carrocci, Roma, 2005;
  • Vittorio Lingiardi, Nicola Nardelli, Guido Giovanardi, Anna Maria Speranza:  “Consulenza psicologia e psicoterapa con persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, non binarie”. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2023;
  • Vittorio Lingiardi: “La famiglia inconcepibile”, 2013
  • Alessandro Taurino: ”Famiglie e genitorialità omosessuali. Costrutti e riflessioni per la disconferma del pregiudizio omofobico”, Rivista internazionale di filosofia e psicologia, 2012, 3, 1, 67-95 

 

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Lunedì, 19 Dicembre 2022 12:58

La paura in età evolutiva

La paura è una delle emozioni primarie che ognuno di noi sperimenta, e come tutte le altre emozioni è estremamente utile in quanto funge da campanello d’allarme in caso di pericolo reale o potenziale, e ci aiuta dunque ad agire di conseguenza per metterci in salvo (ne abbiamo parlato anche qui La paura e l'ansia ai tempi del corona virus).
 
Ma come funziona nell’età evolutiva? Le paure manifestate dai più piccoli hanno anch’esse una funzione, anche se apparentemente ai nostri occhi sembrano talvolta non avere un senso?
 
Nell’infanzia possiamo assistere a vari tipi di paure che si susseguono a seconda della tappa di sviluppo in cui si trova il bambino. Queste sono paure innate e sono tipiche delle varie fasi evolutive.
Intorno agli 8 mesi (con una variabile di qualche mese, ricordando che ogni bimbo ha caratteristiche uniche e irripetibili) e con un picco intorno ai 15 mesi compare la paura dell’estraneo, insieme all’ansia da separazione dalle figure di accudimento (che va dai 12 mesi fino ai 3 anni di vita), conseguenti del fatto che il bimbo inizia ad avere una maggiore consapevolezza di sè e dell’altro, che inizia ad essere visto come una persona diversa e separata da sè. A livello evolutivo questa paura permette al bimbo, attraverso la segnalazione di un disagio, di assicurarsi la vicinanza e la protezione della figura di accudimento primaria di fronte a una possibile fonte di pericolo (un estraneo o il rimanere solo).
Tra i 3 e i 5 anni le paure sono indirizzate al mondo immaginario dei mostri, e tendenzialmente si fanno più spiccate la sera prima di andare a dormire. I bambini in questa fase di vita non distinguono ciò che appartiene al mondo reale da ciò che fa parte del mondo immaginario, ecco quindi che streghe e lupi mannari diventano un reale potenziale pericolo per loro; inoltre il momento serale dell’addormentamento rappresenta un piccolo abbandono, un lasciarsi andare per separarsi dalle proprie figure di attaccamento. Ecco quindi che che le routine dell’addormentamento potrebbero essere più faticose e il bambino potrebbe ritardare il momento del sonno.
Più i bambini crescono, più le loro capacità cognitive ed emotive si affinano e le paure sono rivolte a situazioni più tangibili e concrete, come la morte, le malattie, la guerra, il terremoto, i ladri.
A partire dalla pre adolescenza i timori coinvolgeranno tutto ciò che riguarda la sfera sociale e il tema dell’inclusione nel gruppo dei pari, fino a temi riguardanti il proprio corpo e la sessualità legati al periodo adolescenziale. Le strategie conseguenti alla paura in questo caso vengono spostate dalle figure di riferimento primarie ai pari, e sono volte quindi a massimizzare la vicinanza con questi. Questo rappresenta un segnale di sviluppo positivo in quanto denota una demarcazione dal nucleo familiare.
 
 
In linea generale, come affrontare le paure che si susseguono nelle varie fasi di sviluppo? É importante non svalutare l’emozione, ma accoglierla e riconoscerla, per dare un contenimento allo stato emotivo ma anche strumenti per narrarla ed elaborarla. Non è attraverso la soppressione della paura che si impara ad affrontarla (potrebbero quindi essere contro producenti affermazioni che invitano a essere coraggiosi, a non avere paura, in quanto veicolano il messaggio che non è possibile avere delle fragilità o non è possibile esprimere i propri stati emotivi), quanto piuttosto attraverso il suo riconoscimento, la sua condivisione, la sua accoglienza empatica.

L'umore materno modera la traiettoria deiproblemi emotivi e comportamentali dal pre aldurante il blocco della Covid-19 nei bambini inetà prescolare

Riassunto dell'articolo: “Maternal mood moderates the trajectory of emotional and behavioural problems from pre‑ to during the COVID‑19 lockdown in preschool children”, A. Frigerio; F. Nettuno; S. Nazzari 

 

Con l'insorgere della pandemia da COVID-19, tutti noi ci siamo trovati a vivere un profondo cambiamento delle nostre abitudini e condizioni di vita. Ormai a distanza di un paio di anni dall'inizio dello stato di emergenza, è facile chiedersi quali possano essere stati gli effetti delle conseguenze della pandemia sul benessere psicologico di adulti e di bambini.Ad oggi esistono vari studi che mostrano gli effetti negativi della pandemia sulla salute mentale in campioni di adulti come pazienti positivi al COVID-19, pazienti con disturbi psichiatrici, operatori sanitari e operatori non sanitari (Vindegaard et al., 2020). Dall'altra parte è però meno chiaro l'effetto dello stato di emergenze sui bambini: alcuni studi riportano infatti un peggioramento di sintomi internalizzanti (come ansia e depressione) ed esternalizzanti (come reazioni aggressive) nei bambini durante il lockdown (Crescentini et al. 2020; Di Giorgio et al., 2020), al contrario di altri studi che non sottolineano alcuna evidenza (Cusinato et al. 2020; Spinelli et al., 2020).Alcune ricerche però riportano che i bambini in età prescolare siano esposti a un maggior rischio di sviluppare problematiche comportamentali conseguenti alla pandemia, proprio a causa della minore presenza di strategie di coping per affrontare le problematiche ad essa correlate (Romero et al.,2020; Tso WWY et al., 2020).A questo proposito, Frigerio et al (2022) hanno pubblicato uno studio longitudinale che si è posto l'obiettivo di indagare l'impatto della pandemia sul benessere psicologico di bambini in età prescolare. Inoltre hanno voluto indagare l'influenza dell'umore materno conseguente alla pandemia sulla capacità di adattamento del bambino stesso alla situazione.

I dati raccolti hanno mostrato che, nonostante la prima ondata pandemica non abbia danneggiato severamente le famiglie partecipanti alla ricerca dal punto di vista economico e di salute, nei bambini prescolari è stato riscontrato un aumento delle problematiche comportamentali ed emotive (soprattutto interiorizzanti, come ansia e depressione) durante il lockdown. Al contrario, non sono stati evidenziati cambiamenti significativi a livello di sonno, attenzione e sintomi somatici.In sintesi, sembra quindi che il lockdown abbia avuto globalmente un impatto negativo sul benessere psicologico dei bambini, portando a un aumento dei sintomi emozionali e comportamentali.Da un ulteriore analisi dei dati, Frigerio et al (2022) hanno inoltre evidenziato che l'impatto della pandemia sui bambini è stato diverso a seconda del benessere psicologico materno: i bambini di mamme meno esposte ad alti livelli di angoscia legati all'emergenza sanitaria hanno mostrato una maggiore capacità di adattamento alla situazione, al contrario di bambini di mamme più provate dalla situazione pandemica.Questa ricerca suggerisce pertanto che il benessere emotivo materno in tempi di emergenza può mitigare l’impatto negativo delle misure restrittive promuovendo la resilienza del bambino nell’affrontare la pandemia e le misure restrittive.

In conclusione, questa ricerca, sebbene basata su risultati preliminari, rappresenta un'ulteriore evidenza a sostegno dell'importanza del ruolo che i genitori hanno nell'aiutare il proprio bimbo a costruire un proprio bagaglio di risorse e strategie alle quali poter attingere per affrontare le situazioni più avverse. In quest'ottica, appare pertanto molto importante continuare a sostenere interventi di sostegno genitoriale, soprattutto in condizioni di stress come quello attuale, al fine di intervenire a catena in maniera preventiva sul disagio psicologico dei bambini e dei loro genitori.

 

 

Bibliografia:

- Vindegaard N, Benros ME. COVID-19 pandemic and mental health consequences: systematic review of the current evidence. Brain Behav Immun. 2020;89:531–542. doi: 10.1016/j.bbi.2020.05.048. 

- Crescentini C, Feruglio S, Matiz A, et al. Stuck outside and inside: an exploratory study on the effects of the COVID-19 outbreak on Italian parents and children’s internalizing symptoms. Front Psychol. 2020;11:586074. doi: 10.3389/fpsyg.2020.586074.

-  Di Giorgio E, Di Riso D, Mioni G, Cellini N. The interplay between mothers’ and children behavioral and psychological factors during COVID-19: an Italian study. Eur Child Adolesc Psychiatry. 2020;30:1401–1412. doi: 10.1007/s00787-020-01631-3.

- Cusinato M, Iannattone S, Spoto A, et al. Stress, resilience, and well-being in Italian children and their parents during the COVID-19 pandemic. Int J Environ Res Public Health. 2020;17:1–17. doi: 10.3390/ijerph17228297.

-  Spinelli M, Lionetti F, Setti A, Fasolo M. Parenting stress during the COVID-19 outbreak: socioeconomic and environmental risk factors and implications for children emotion regulation. Fam Process. 2020;60:639–653. doi: 10.1111/famp.12601

- Romero E, López-Romero L, Domínguez-álvarez B, et al. Testing the effects of covid-19 confinement in Spanish children: the role of parents’ distress, emotional problems and specific parenting. Int J Environ Res Public Health. 2020;17:1–23. doi: 10.3390/ijerph17196975

- Tso WWY, Wong RS, Tung KTS, et al. Vulnerability and resilience in children during the COVID-19 pandemic. Eur Child Adolesc Psychiatry. 2020;17:1–16. doi: 10.1007/s00787-020-01680-8.

 

Mercoledì, 04 Novembre 2020 08:57

Sessualità e adolescenza: perché parlarne?

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la sessualità “un aspetto centrale dell’essere umano che comprende il sesso, l’identità di genere e di ruolo, l’orientamento sessuale, l’erotismo, il piacere, l’intimità e la riproduzione (…)”. La sessualità è quindi un fenomeno complesso e la salute sessuale viene definita come “uno stato di benessere fisico, emotivo, mentale e sociale (…) che richiede un approccio positivo e rispettoso alla sessualità e alle relazioni sessuali, così come la possibilità di avere esperienze sessuali piacevoli e sicure, libere da coercizioni, discriminazioni e violenza”.

La sessualità fa quindi parte dell’identità di ognuno, è una sfera tanto importante quanto delicata nell’esperienza di una persona, e lo è tanto più per un’adolescente che inizia ad affacciarsi e ad incuriosirsi al mondo dell’intimità fisica. Frequentemente tale curiosità viene soddisfatta ricercando risposte nel web e ricevendo stimoli e informazioni sessualizzate forti e immediate, talvolta fuorvianti, in quanto i contenuti trovati rimandano spesso a materiale pornografico. Ricerche dimostrano che 2 ragazzini su 3, a partire dai 10 anni, vengono in contatto con materiale pornografico accidentalmente o intenzionalmente. 

Gli stimoli che i pre-adolescenti ricevono dalla pornografia sono inadeguati rispetto al livello di maturazione e di sviluppo emotivo e fisico: la parte cognitiva (corteccia prefrontale) che aiuta a  regolare le emozioni e l’impulsività attraverso funzioni di pianificazione e riflessione, è ancora profondamente immatura per poter integrare pienamente input così forti, mentre le aree cerebrali legate all’emotività (sistema limbico) sono in piena maturazione e stimoli eccessivamente forti potrebbero essere destabilizzanti seppur attrattivi per un’adolescente; la struttura celebrale di un pre-adolescente non è quindi abbastanza matura per integrare le informazioni ricevute attraverso il materiale pornografico. Inoltre, a livello biologico, l’attivazione sessuale ricevuta da stimoli pornografici è tale da non avere corrispondenti nella vita reale, con il rischio di creare a lungo termine una dipendenza. Infine, non di minore importanza, si matura un’idea di sessualità completamente diversa dalla realtà.

Numerose ricerche dimostrano come questi stimoli digitali siano per pre-adolescenti e adolescenti la principale fonte di educazione sessuale. Alla luce di ciò diventa fondamentale da parte degli adulti di riferimento (genitori, insegnanti, ma anche educatori, psicologi) trasmettere un approccio reale, positivo e rispettoso della sessualità e di un’educazione affettiva e sentimentale. Tutto ciò è possibile attraverso un dialogo aperto e diretto, che può iniziare sin dall’infanzia con le prime domande curiose rivolte dai bambini, alle quali può essere data una risposta utilizzando un linguaggio semplice e veicolando contenuti adeguati alla fase di sviluppo. 

Un atteggiamento di apertura al dialogo, di reale interesse e attenzione da parte dell’adulto, permette di mantenere aperto un canale comunicativo tale per cui il bambino prima e l’adolescente poi si sente sicuro di poter soddisfare i propri dubbi e curiosità attraverso una figura adulta competente, e non di cercare autonomamente informazioni attraverso il web o i coetanei.

 

Qualche lettura consigliata per approfondimenti:

“Il primo bacio” - Pellai, Tamborini 

“Tutto troppo presto” - Pellai

 

Dott.ssa Valentina Pajola

Venerdì, 28 Febbraio 2020 11:02

L'attaccamento

Ma perchè piange? Avrà fame? Avrà sete? Non starà bene? Eppure ha appena mangiato, bevuto,fatto la visita pediatrica...cosa mai avrà? E io cosa posso fare? 

Quale neo-mamma non si è trovata a pensare a queste domande quando il proprio piccolo ha iniziato a piangere disperato quando lo si è messo nella culla o lettino. Sembra che non ci sia nulla che non va, che i bisogni del bambino siano stati tutti soddisfatti, eppure lui continua a piangere e l'unico modo per farlo smettere sembra essere prenderlo in braccio. E così lo si culla per molto tempo tra le braccia, perchè la mamma e il papà hanno imparato che questo funziona, eppure due domande rimangono: come mai piangeva? E perchè solo il prenderlo in braccio ha funzionato?

Harlow, un ricercatore americano, ha svolto svariati esperimenti sui macachi intorno agli anni '50 e in uno dei più celebri ha osservato che ponendo dei cuccioli di macaco in una gabbia con due sagome, una coperta di panni morbidi e l'altra fatta di fili di ferro ma dotata di biberon, i due cuccioli si avvicinavano alla sagoma dotata di biberon solo per nutrirsi, mentre passavano la maggior parte del tempo aggrappati alla figura con il panno. Inoltre, nel caso venissero esposti ad oggetti fonte di paura, i piccoli di macaco si dirigevano verso la sagoma con il panno e solo così sembravano calmarsi. Di fronte a queste osservazioni, Harlow concluse che per questi cuccioli non fosse necessario soltanto disporre di acqua e cibo, ma anche e soprattutto di un vero e proprio legame affettivo mediato dal contatto.

L'importanza del contatto fisico con un adulto di riferimento ha un significato molto antico e radicato a livello evoluzionistico. Già ai primordi della specie la mamma garantiva protezione e cura al proprio piccolo e solo questo garantiva la sua sopravvivenza contro gli attacch di predatori o adulti estranei o contro la mancanza di cibo, acqua e pulizia.

E allora come richiamare la propria figura protettiva quando si è esposti a pericoli (come predatori, fame, sete ecc)? Ecco che il pianto assume un ruolo centrale per richiamare la mamma e farle capire che qualcosa non va.

Come mai quindi i nostri bambini spesso piangono quando lasciati nella culla da soli? Piangono proprio perchè è il loro modo di chiamare la mamma e di assicurarsi che sia lì per loro per proteggerli. Infatti i bambini che non hanno ancora imparato a parlare, possono comunicare solo attraverso il loro comportamento e il pianto, in particolar modo, è il comportamento che hanno sperimentato come più efficace per ottenere l'attenzione del genitore.

Perchè solo il prendere in braccio il piccolo funziona? Funziona proprio perchè il contatto assicura al bambino la sicurezza che la mamma sia lì per lui a proteggerlo e che possa quindi essere sicuro di sopravvivere ai vari pericoli.

Questa tendenza innata a richiamare la mamma  e a richiederne la vicinanza è stata definita “attaccamento” dallo psichiatra inglese John Bowlby.  Egli definisce infatti “legame di attaccamento” quella parte del rapporto tra genitore e figlio in cui piccolo trova nell'adulto il soddisfacimento del suo bisogno di essere confortato e protetto, in quanto il genitore viene appunto visto come persona più forte e saggia.

La modalità di richiamare il genitore (e quindi il legame di attaccamento) può variare da bambino a bambino e sulla base dell'età: bambini che piangono, che urlano, che si nascondono sotto il letto, che non vogliono fare i compiti sono solo alcuni esempi. Questi comportamenti riescono a richiamare il genitore, che spesso interpreta in modo negativo la condotta del bambino: per esempio, di fronte al bimbo che piange, alcuni genitori potranno pensare che è viziato e che prenderlo in braccio vorrebbe dire portarlo a ripetere il comportamento, altri potrebbero pensare che lo fa per fare loro un dispetto.

In realtà il bambino sta usando il comportamento più efficace a richiamare il genitore e il motivo per cui ha bisogno che il genitore gli dia attenzione è proprio per l'attivazione del sistema di attaccamento, cioè per ottenere cura, conforto e protezione da qualcosa.

Appare allora importante non tanto soffermarsi sul comportamento in sé che il bambini ha usato, ma  su ciò che il bambino vuole comunicarsi, cioè domandarsi: cosa sta cercando di dirmi?.

 

 

 

Dott.ssa Arianna Tarabelloni