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Venerdì, 13 Ottobre 2023 09:07

Nuove famiglie e nuovi genitori

Nuove famiglie e nuovi genitori

(Dott.ssa Katia Guadagnini)

Fruggeri (2005) individua elementi di discontinuità rispetto alla “famiglia tradizionale” che caratterizzano le diverse esperienze di famiglia. 

La genitorialità è:

  • Adeguata anche in assenza di generatività (famiglie adottive e/o affidatarie) e in assenza della relazione coniugale come nel caso della mono-genitorialità (ragazze madri/ragazzi padri vedovanza etc.)
  • Svincolata dal matrimonio e funzionante anche in situazioni di famiglie allargate e ricomposte
  • Indipendente dalle caratteristiche di genere dei genitori (famiglie omo-parentali).

Genitorialità ed omo-genitorialità:

Come possiamo definire la genitorialità? E’ un sistema di cura dinamico e complesso costituito da elementi diversi.

Visentini (2006) individua le seguenti funzioni genitoriali:

  • Provvedere all’Altro conoscendo gli aspetti corporei e mentali in continuo cambiamento;
  • Riconoscere i segnali di bisogno dell’Altro, saper empatizzare;
  • Saper decentrare il proprio Io in funzione dell’Altro;
  • Saper cogliere la soggettività dell’Altro;
  • Garantire protezione non solo per la cura fisica ma anche dal punto di vista relazionale;
  • Saper entrare in risonanza affettiva mantenendo la separazione;
  • Garantire regolazione, dare dei limiti;
  • Accompagnare nel raggiungimento di tappe evolutive, sostenendone i diversi bisogni;
  • Garantire la funzione transgenerazionale mettendo l’altro dentro una storia.

La persona omosessuale può essere un genitore competente?

La famiglia omosessuale, gay o lesbica, può essere un ambiente sufficientemente buono per far crescere un figlio?

Taurino (2012) afferma:

“(...) non ci sono presupposti teorico concettuali, al di là di visione preconcette, sulla base dei quali è possibile asserire che un soggetto con orientamento omosessuale sia un individuo incapace di garantire protezione, affetto, cura e sicurezza (...). Allo stesso modo non è possibile affermare che una persona eterosessuale sia “normalmente” in grado di adempiere in modo sufficientemente responsivo ai compiti che la genitorialità propone”. E ancora: “(...) la validità di un nucleo non si fonda sul modello strutturale o sulla presunta “naturalità” ma piuttosto sulla qualità delle relazioni tra le persone che lo compongono (...) di conseguenza l’orientamento sessuale sia esso etero o omosessuale, non è una variabile da prendere in considerazione per valutare la qualità delle competenze genitoriali di una persona”.

Con questo non si vuole sostenere che la famiglia omosessuale e quella eterosessuale siano sovrapponibili.

Le differenze esistono ma l’errore è individuarle con atteggiamento etero-centrico ed etero-normativo:

  • l’etero-centrismo indica la centralità culturale dell’eterosessualità nella società, non come norma imposta, ma come consuetudine e discorso dominante.
  • l’etero-normatività è l’imposizione dell’eterosessualità come norma in quanto unico orientamento sessuale culturalmente e socialmente legittimato.

I figli di coppie omosessuali presentano livelli di adattamento, autostima e benessere emotivo così come di ansia e depressione simili a quelle dei figli di coppie eterosessualilo stesso avviene per le funzioni cognitive.

Sono stati espressi timori sull’influenza che genitori gay o lesbiche possono avere sullo sviluppo psicologico dei figli.

  • Un primo timore riguarda un possibile condizionamento rispetto all’orientamento sessuale e all’identità di genere dei figli ma si è visto in realtà che non esistono significativi spostamenti rispetto alle famiglie eterosessuale.
  • Un secondo timore è che altri aspetti dello sviluppo del bambino possano essere compromessi ma tale ipotesi non ha presentato riscontri empirici.
  • Una terza preoccupazione riguarda le inevitabili difficoltà incontrate dai bambini nelle relazioni sociali dovute alla stigmatizzazione della loro famiglia.

Tali difficoltà riguardano micro-aggressioni omofobe (messaggi critici offensivi portatori di stereotipi e mancanza di rispetto) ricevuti quotidianamente che si presentano denigratori con lo scopo di offendere e discriminare. La natura subdola di questo atteggiamento rende difficile la difesa della persona che le subisce.

A questo proposito il compito della società, della cultura e delle professioni d’aiuto, è fondamentale per garantire sicurezza e riconoscimento a queste famiglie e a queste persone.

Le ricerche sui genitori omosessuali, infatti, evidenziano, come unica condizione di svantaggio, quella legata alla discriminazione e allo stigma sociale sulla famiglia omo-genitoriale.

L’insieme dei disagi psicologici a cui sono sottoposte le minoranze sessuali viene denominato "minority stress" e si compone di tre dimensioni che si intrecciano e potenziano:

  • esperienze vissute di discriminazioni e violenza,
  • stigma percepito
  • omofobia interiorizzata.

L'omofobia interiorizzata è intesa come l'insieme di sentimenti e atteggiamenti negativi che una persona può provare più o meno consapevolmente sulla propria omosessualità, dalla scarsa accettazione e stima di sé fino anche all'autodisprezzo, con sentimenti di incertezza, inferiorità e vergogna e convinzione di essere rifiutati. La persona rischia cioè di identificarsi con gli stereotipi denigratori.

Buona parte delle obiezioni alla genitorialità di persone omosessuali può essere rubricata sotto la voce “è contro l’interesse del bambino”. Eppure, è proprio questa l’espressione scelta dall’American Psychoanalytic Association (2002-2012) per affermare che l’interesse del bambino è sviluppare un attaccamento verso genitori coinvolti, competenti e capaci di cure e di responsabilità educative” e che la “valutazione di queste qualità genitoriali dovrebbe essere determinata senza pregiudizi rispetto all’orientamento sessuale”

 

Bibliografia:

  • Nicola Carone: “Le famiglie omogenitoriali”, Raffaello Cortina Editore, Milano 2021;
  • Laura Fruggeri: “Diverse normalità. Psicologia sociale delle relazioni famigliari”, Carrocci, Roma, 2005;
  • Vittorio Lingiardi, Nicola Nardelli, Guido Giovanardi, Anna Maria Speranza:  “Consulenza psicologia e psicoterapa con persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, non binarie”. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2023;
  • Vittorio Lingiardi: “La famiglia inconcepibile”, 2013
  • Alessandro Taurino: ”Famiglie e genitorialità omosessuali. Costrutti e riflessioni per la disconferma del pregiudizio omofobico”, Rivista internazionale di filosofia e psicologia, 2012, 3, 1, 67-95 

 

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Lunedì, 19 Dicembre 2022 12:58

La paura in età evolutiva

La paura è una delle emozioni primarie che ognuno di noi sperimenta, e come tutte le altre emozioni è estremamente utile in quanto funge da campanello d’allarme in caso di pericolo reale o potenziale, e ci aiuta dunque ad agire di conseguenza per metterci in salvo (ne abbiamo parlato anche qui La paura e l'ansia ai tempi del corona virus).
 
Ma come funziona nell’età evolutiva? Le paure manifestate dai più piccoli hanno anch’esse una funzione, anche se apparentemente ai nostri occhi sembrano talvolta non avere un senso?
 
Nell’infanzia possiamo assistere a vari tipi di paure che si susseguono a seconda della tappa di sviluppo in cui si trova il bambino. Queste sono paure innate e sono tipiche delle varie fasi evolutive.
Intorno agli 8 mesi (con una variabile di qualche mese, ricordando che ogni bimbo ha caratteristiche uniche e irripetibili) e con un picco intorno ai 15 mesi compare la paura dell’estraneo, insieme all’ansia da separazione dalle figure di accudimento (che va dai 12 mesi fino ai 3 anni di vita), conseguenti del fatto che il bimbo inizia ad avere una maggiore consapevolezza di sè e dell’altro, che inizia ad essere visto come una persona diversa e separata da sè. A livello evolutivo questa paura permette al bimbo, attraverso la segnalazione di un disagio, di assicurarsi la vicinanza e la protezione della figura di accudimento primaria di fronte a una possibile fonte di pericolo (un estraneo o il rimanere solo).
Tra i 3 e i 5 anni le paure sono indirizzate al mondo immaginario dei mostri, e tendenzialmente si fanno più spiccate la sera prima di andare a dormire. I bambini in questa fase di vita non distinguono ciò che appartiene al mondo reale da ciò che fa parte del mondo immaginario, ecco quindi che streghe e lupi mannari diventano un reale potenziale pericolo per loro; inoltre il momento serale dell’addormentamento rappresenta un piccolo abbandono, un lasciarsi andare per separarsi dalle proprie figure di attaccamento. Ecco quindi che che le routine dell’addormentamento potrebbero essere più faticose e il bambino potrebbe ritardare il momento del sonno.
Più i bambini crescono, più le loro capacità cognitive ed emotive si affinano e le paure sono rivolte a situazioni più tangibili e concrete, come la morte, le malattie, la guerra, il terremoto, i ladri.
A partire dalla pre adolescenza i timori coinvolgeranno tutto ciò che riguarda la sfera sociale e il tema dell’inclusione nel gruppo dei pari, fino a temi riguardanti il proprio corpo e la sessualità legati al periodo adolescenziale. Le strategie conseguenti alla paura in questo caso vengono spostate dalle figure di riferimento primarie ai pari, e sono volte quindi a massimizzare la vicinanza con questi. Questo rappresenta un segnale di sviluppo positivo in quanto denota una demarcazione dal nucleo familiare.
 
 
In linea generale, come affrontare le paure che si susseguono nelle varie fasi di sviluppo? É importante non svalutare l’emozione, ma accoglierla e riconoscerla, per dare un contenimento allo stato emotivo ma anche strumenti per narrarla ed elaborarla. Non è attraverso la soppressione della paura che si impara ad affrontarla (potrebbero quindi essere contro producenti affermazioni che invitano a essere coraggiosi, a non avere paura, in quanto veicolano il messaggio che non è possibile avere delle fragilità o non è possibile esprimere i propri stati emotivi), quanto piuttosto attraverso il suo riconoscimento, la sua condivisione, la sua accoglienza empatica.

L'umore materno modera la traiettoria deiproblemi emotivi e comportamentali dal pre aldurante il blocco della Covid-19 nei bambini inetà prescolare

Riassunto dell'articolo: “Maternal mood moderates the trajectory of emotional and behavioural problems from pre‑ to during the COVID‑19 lockdown in preschool children”, A. Frigerio; F. Nettuno; S. Nazzari 

 

Con l'insorgere della pandemia da COVID-19, tutti noi ci siamo trovati a vivere un profondo cambiamento delle nostre abitudini e condizioni di vita. Ormai a distanza di un paio di anni dall'inizio dello stato di emergenza, è facile chiedersi quali possano essere stati gli effetti delle conseguenze della pandemia sul benessere psicologico di adulti e di bambini.Ad oggi esistono vari studi che mostrano gli effetti negativi della pandemia sulla salute mentale in campioni di adulti come pazienti positivi al COVID-19, pazienti con disturbi psichiatrici, operatori sanitari e operatori non sanitari (Vindegaard et al., 2020). Dall'altra parte è però meno chiaro l'effetto dello stato di emergenze sui bambini: alcuni studi riportano infatti un peggioramento di sintomi internalizzanti (come ansia e depressione) ed esternalizzanti (come reazioni aggressive) nei bambini durante il lockdown (Crescentini et al. 2020; Di Giorgio et al., 2020), al contrario di altri studi che non sottolineano alcuna evidenza (Cusinato et al. 2020; Spinelli et al., 2020).Alcune ricerche però riportano che i bambini in età prescolare siano esposti a un maggior rischio di sviluppare problematiche comportamentali conseguenti alla pandemia, proprio a causa della minore presenza di strategie di coping per affrontare le problematiche ad essa correlate (Romero et al.,2020; Tso WWY et al., 2020).A questo proposito, Frigerio et al (2022) hanno pubblicato uno studio longitudinale che si è posto l'obiettivo di indagare l'impatto della pandemia sul benessere psicologico di bambini in età prescolare. Inoltre hanno voluto indagare l'influenza dell'umore materno conseguente alla pandemia sulla capacità di adattamento del bambino stesso alla situazione.

I dati raccolti hanno mostrato che, nonostante la prima ondata pandemica non abbia danneggiato severamente le famiglie partecipanti alla ricerca dal punto di vista economico e di salute, nei bambini prescolari è stato riscontrato un aumento delle problematiche comportamentali ed emotive (soprattutto interiorizzanti, come ansia e depressione) durante il lockdown. Al contrario, non sono stati evidenziati cambiamenti significativi a livello di sonno, attenzione e sintomi somatici.In sintesi, sembra quindi che il lockdown abbia avuto globalmente un impatto negativo sul benessere psicologico dei bambini, portando a un aumento dei sintomi emozionali e comportamentali.Da un ulteriore analisi dei dati, Frigerio et al (2022) hanno inoltre evidenziato che l'impatto della pandemia sui bambini è stato diverso a seconda del benessere psicologico materno: i bambini di mamme meno esposte ad alti livelli di angoscia legati all'emergenza sanitaria hanno mostrato una maggiore capacità di adattamento alla situazione, al contrario di bambini di mamme più provate dalla situazione pandemica.Questa ricerca suggerisce pertanto che il benessere emotivo materno in tempi di emergenza può mitigare l’impatto negativo delle misure restrittive promuovendo la resilienza del bambino nell’affrontare la pandemia e le misure restrittive.

In conclusione, questa ricerca, sebbene basata su risultati preliminari, rappresenta un'ulteriore evidenza a sostegno dell'importanza del ruolo che i genitori hanno nell'aiutare il proprio bimbo a costruire un proprio bagaglio di risorse e strategie alle quali poter attingere per affrontare le situazioni più avverse. In quest'ottica, appare pertanto molto importante continuare a sostenere interventi di sostegno genitoriale, soprattutto in condizioni di stress come quello attuale, al fine di intervenire a catena in maniera preventiva sul disagio psicologico dei bambini e dei loro genitori.

 

 

Bibliografia:

- Vindegaard N, Benros ME. COVID-19 pandemic and mental health consequences: systematic review of the current evidence. Brain Behav Immun. 2020;89:531–542. doi: 10.1016/j.bbi.2020.05.048. 

- Crescentini C, Feruglio S, Matiz A, et al. Stuck outside and inside: an exploratory study on the effects of the COVID-19 outbreak on Italian parents and children’s internalizing symptoms. Front Psychol. 2020;11:586074. doi: 10.3389/fpsyg.2020.586074.

-  Di Giorgio E, Di Riso D, Mioni G, Cellini N. The interplay between mothers’ and children behavioral and psychological factors during COVID-19: an Italian study. Eur Child Adolesc Psychiatry. 2020;30:1401–1412. doi: 10.1007/s00787-020-01631-3.

- Cusinato M, Iannattone S, Spoto A, et al. Stress, resilience, and well-being in Italian children and their parents during the COVID-19 pandemic. Int J Environ Res Public Health. 2020;17:1–17. doi: 10.3390/ijerph17228297.

-  Spinelli M, Lionetti F, Setti A, Fasolo M. Parenting stress during the COVID-19 outbreak: socioeconomic and environmental risk factors and implications for children emotion regulation. Fam Process. 2020;60:639–653. doi: 10.1111/famp.12601

- Romero E, López-Romero L, Domínguez-álvarez B, et al. Testing the effects of covid-19 confinement in Spanish children: the role of parents’ distress, emotional problems and specific parenting. Int J Environ Res Public Health. 2020;17:1–23. doi: 10.3390/ijerph17196975

- Tso WWY, Wong RS, Tung KTS, et al. Vulnerability and resilience in children during the COVID-19 pandemic. Eur Child Adolesc Psychiatry. 2020;17:1–16. doi: 10.1007/s00787-020-01680-8.

 

Mercoledì, 04 Novembre 2020 08:57

Sessualità e adolescenza: perché parlarne?

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la sessualità “un aspetto centrale dell’essere umano che comprende il sesso, l’identità di genere e di ruolo, l’orientamento sessuale, l’erotismo, il piacere, l’intimità e la riproduzione (…)”. La sessualità è quindi un fenomeno complesso e la salute sessuale viene definita come “uno stato di benessere fisico, emotivo, mentale e sociale (…) che richiede un approccio positivo e rispettoso alla sessualità e alle relazioni sessuali, così come la possibilità di avere esperienze sessuali piacevoli e sicure, libere da coercizioni, discriminazioni e violenza”.

La sessualità fa quindi parte dell’identità di ognuno, è una sfera tanto importante quanto delicata nell’esperienza di una persona, e lo è tanto più per un’adolescente che inizia ad affacciarsi e ad incuriosirsi al mondo dell’intimità fisica. Frequentemente tale curiosità viene soddisfatta ricercando risposte nel web e ricevendo stimoli e informazioni sessualizzate forti e immediate, talvolta fuorvianti, in quanto i contenuti trovati rimandano spesso a materiale pornografico. Ricerche dimostrano che 2 ragazzini su 3, a partire dai 10 anni, vengono in contatto con materiale pornografico accidentalmente o intenzionalmente. 

Gli stimoli che i pre-adolescenti ricevono dalla pornografia sono inadeguati rispetto al livello di maturazione e di sviluppo emotivo e fisico: la parte cognitiva (corteccia prefrontale) che aiuta a  regolare le emozioni e l’impulsività attraverso funzioni di pianificazione e riflessione, è ancora profondamente immatura per poter integrare pienamente input così forti, mentre le aree cerebrali legate all’emotività (sistema limbico) sono in piena maturazione e stimoli eccessivamente forti potrebbero essere destabilizzanti seppur attrattivi per un’adolescente; la struttura celebrale di un pre-adolescente non è quindi abbastanza matura per integrare le informazioni ricevute attraverso il materiale pornografico. Inoltre, a livello biologico, l’attivazione sessuale ricevuta da stimoli pornografici è tale da non avere corrispondenti nella vita reale, con il rischio di creare a lungo termine una dipendenza. Infine, non di minore importanza, si matura un’idea di sessualità completamente diversa dalla realtà.

Numerose ricerche dimostrano come questi stimoli digitali siano per pre-adolescenti e adolescenti la principale fonte di educazione sessuale. Alla luce di ciò diventa fondamentale da parte degli adulti di riferimento (genitori, insegnanti, ma anche educatori, psicologi) trasmettere un approccio reale, positivo e rispettoso della sessualità e di un’educazione affettiva e sentimentale. Tutto ciò è possibile attraverso un dialogo aperto e diretto, che può iniziare sin dall’infanzia con le prime domande curiose rivolte dai bambini, alle quali può essere data una risposta utilizzando un linguaggio semplice e veicolando contenuti adeguati alla fase di sviluppo. 

Un atteggiamento di apertura al dialogo, di reale interesse e attenzione da parte dell’adulto, permette di mantenere aperto un canale comunicativo tale per cui il bambino prima e l’adolescente poi si sente sicuro di poter soddisfare i propri dubbi e curiosità attraverso una figura adulta competente, e non di cercare autonomamente informazioni attraverso il web o i coetanei.

 

Qualche lettura consigliata per approfondimenti:

“Il primo bacio” - Pellai, Tamborini 

“Tutto troppo presto” - Pellai

 

Dott.ssa Valentina Pajola

Venerdì, 28 Febbraio 2020 11:02

L'attaccamento

Ma perchè piange? Avrà fame? Avrà sete? Non starà bene? Eppure ha appena mangiato, bevuto,fatto la visita pediatrica...cosa mai avrà? E io cosa posso fare? 

Quale neo-mamma non si è trovata a pensare a queste domande quando il proprio piccolo ha iniziato a piangere disperato quando lo si è messo nella culla o lettino. Sembra che non ci sia nulla che non va, che i bisogni del bambino siano stati tutti soddisfatti, eppure lui continua a piangere e l'unico modo per farlo smettere sembra essere prenderlo in braccio. E così lo si culla per molto tempo tra le braccia, perchè la mamma e il papà hanno imparato che questo funziona, eppure due domande rimangono: come mai piangeva? E perchè solo il prenderlo in braccio ha funzionato?

Harlow, un ricercatore americano, ha svolto svariati esperimenti sui macachi intorno agli anni '50 e in uno dei più celebri ha osservato che ponendo dei cuccioli di macaco in una gabbia con due sagome, una coperta di panni morbidi e l'altra fatta di fili di ferro ma dotata di biberon, i due cuccioli si avvicinavano alla sagoma dotata di biberon solo per nutrirsi, mentre passavano la maggior parte del tempo aggrappati alla figura con il panno. Inoltre, nel caso venissero esposti ad oggetti fonte di paura, i piccoli di macaco si dirigevano verso la sagoma con il panno e solo così sembravano calmarsi. Di fronte a queste osservazioni, Harlow concluse che per questi cuccioli non fosse necessario soltanto disporre di acqua e cibo, ma anche e soprattutto di un vero e proprio legame affettivo mediato dal contatto.

L'importanza del contatto fisico con un adulto di riferimento ha un significato molto antico e radicato a livello evoluzionistico. Già ai primordi della specie la mamma garantiva protezione e cura al proprio piccolo e solo questo garantiva la sua sopravvivenza contro gli attacch di predatori o adulti estranei o contro la mancanza di cibo, acqua e pulizia.

E allora come richiamare la propria figura protettiva quando si è esposti a pericoli (come predatori, fame, sete ecc)? Ecco che il pianto assume un ruolo centrale per richiamare la mamma e farle capire che qualcosa non va.

Come mai quindi i nostri bambini spesso piangono quando lasciati nella culla da soli? Piangono proprio perchè è il loro modo di chiamare la mamma e di assicurarsi che sia lì per loro per proteggerli. Infatti i bambini che non hanno ancora imparato a parlare, possono comunicare solo attraverso il loro comportamento e il pianto, in particolar modo, è il comportamento che hanno sperimentato come più efficace per ottenere l'attenzione del genitore.

Perchè solo il prendere in braccio il piccolo funziona? Funziona proprio perchè il contatto assicura al bambino la sicurezza che la mamma sia lì per lui a proteggerlo e che possa quindi essere sicuro di sopravvivere ai vari pericoli.

Questa tendenza innata a richiamare la mamma  e a richiederne la vicinanza è stata definita “attaccamento” dallo psichiatra inglese John Bowlby.  Egli definisce infatti “legame di attaccamento” quella parte del rapporto tra genitore e figlio in cui piccolo trova nell'adulto il soddisfacimento del suo bisogno di essere confortato e protetto, in quanto il genitore viene appunto visto come persona più forte e saggia.

La modalità di richiamare il genitore (e quindi il legame di attaccamento) può variare da bambino a bambino e sulla base dell'età: bambini che piangono, che urlano, che si nascondono sotto il letto, che non vogliono fare i compiti sono solo alcuni esempi. Questi comportamenti riescono a richiamare il genitore, che spesso interpreta in modo negativo la condotta del bambino: per esempio, di fronte al bimbo che piange, alcuni genitori potranno pensare che è viziato e che prenderlo in braccio vorrebbe dire portarlo a ripetere il comportamento, altri potrebbero pensare che lo fa per fare loro un dispetto.

In realtà il bambino sta usando il comportamento più efficace a richiamare il genitore e il motivo per cui ha bisogno che il genitore gli dia attenzione è proprio per l'attivazione del sistema di attaccamento, cioè per ottenere cura, conforto e protezione da qualcosa.

Appare allora importante non tanto soffermarsi sul comportamento in sé che il bambini ha usato, ma  su ciò che il bambino vuole comunicarsi, cioè domandarsi: cosa sta cercando di dirmi?.

 

 

 

Dott.ssa Arianna Tarabelloni

Spesso nei nostri studi a Istituto Mente e Corpo incontriamo lo stupore dei genitori all’idea che ad un bambino piccolo si offra un trattamento psicoterapeutico.

“ Così piccolo e già in psicoterapia??!?”

Si tratta in realtà di un momento quasi ideale per questo tipo di intervento. Prendiamo come esempio F. (per la privacy lo chiameremo così), un bambino di tre anni portato dai genitori su richiesta della scuola materna a causa del suo comportamento distruttivo, incontenibile oltre alle basse prestazioni pur essendo evidente la sua intelligenza.

Il bambino, a scuola, picchia, lancia i giochi, non rispetta le regole e dice parolacce pesanti. I genitori sono convinti che le maestre lo abbiano preso di mira e che addossino su di lui la responsabilità di qualunque accadimento.

“ A casa non è così, le maestre esagerano” ; si sentono poco accolti e molto colpevolizzati.

Accettano una valutazione che viene fatta con il metodo “ 0/5”, cioè con bambino e genitori insieme allo specialista in modo da conoscere non solo il bambino ma anche le dinamiche ,gli stili comunicativi e relazionali.

Emerge una dinamica familiare deteriorata e preoccupante. Ognuno dei tre è sofferente a suo modo. Il bambino si muove male nello spazio, è goffo, inciampa facilmente. Si interessa ai giochi ma ad ogni piccolo “ guaio” ( una pallonata rumorosa) scatena i rimproveri del papà e si può osservare F. congelarsi, umiliato da tali interventi. La madre, più affettuosa, porta il peso emotivo di gravi eventi traumatici nella sua prima infanzia. Racconta una sua recente esplosione di rabbia verso suo figlio ; ha capito di aver momentaneamente perso il controllo ma questo la preoccupa. Queste sono solo le immagini inziali di un percorso che durerà anni con evoluzioni assai positive per Il bambino ,che a tre anni, ha raccontato il suo profondo malessere con sintomi che non potevano essere non visti dalle sue insegnanti. 

Questo è tipico del bambino molto piccolo: raccontare con il corpo e con gli agiti come sta, individuando l’interlocutore potenzialmente in ascolto. I segnali che l'infante ha usato a scuola per chiedere aiuto sono stati: aggressività, mancanza di controllo, impulsività, difficile gestione nel contesto scolastico e ritardo in alcune aree evolutive.

Per la letteratura queste manifestazioni, insieme ai fattori ambientali e al temperamento, sono predittivi del rischio evolutivo antisociale ( Sabatello, 2000…)

Più in generale lo sviluppo del comportamento violento è parte di un ampio schema di sviluppo deviante che usualmente inizia con un comportamento distruttivo non delinquenziale e che vede i suoi precursori rintracciabili dal terzo anno di vita.

Varie ricerche evidenziano che per curare il disturbo antisociale è necessario un intervento precoce che modifichi la relazione tra almeno un genitore e il bambino.

 

 

 

 

 

Dott. Gloria Piperno

Lunedì, 06 Maggio 2019 06:56

Il disagio in età evolutiva

I bambini, diversamente dagli adulti, hanno modalità di espressione del linguaggio diverse dal canale verbale: è molto facile che i bambini esprimano il loro disagio attraverso il proprio comportamento e il proprio corpo, canali di espressione per loro più accessibili.

Dal punto di vista comportamentale, ci sono vari modi con cui i bambini possono fare capire un loro malessere emotivo: strillare, piangere, lanciare oggetti, inveire,farsi  male, rifiutarsi di comunicare

sono alcuni esempi (Siegel, 2010).

Invece, dal punto di vista del corpo, sono frequenti i casi di bambini che arrivano a manifestare  sintomi somatici di malessere come conseguenza ad un forte disagio emotivo sperimentato: basti pensare al bambino che, in ansia per la verifica che deve svolgere a scuola, inizia ad avvertire un forte mal di pancia davanti ai cancelli di scuola.

La scuola in particolare è il luogo in cui è molto facile e noto riscontrare queste difficoltà. Sono infatti molti i casi in cui in ambito scolastico si presentano problematiche emotive e comportamentali quali ansia, ostilità e aggressività, difficoltà a rispettare le regole, bullismo e molto altro.

Appare chiaro che l'emergenza sempre più significativa di difficoltà emotive e comportamentali in bambini piccoli porti a chiedersi quali possano essere le cause e con-cause dell'insorgenza e manifestazione di queste problematiche.

In generale lo sviluppo emotivo del bambino dipende sia da fattori biologici, quali il temperamento, lo sviluppo genetico e cerebrale, sia da fattori esperienziali, legati soprattutto alla relazione coi genitori (o in generale chi si occupa del bambino, ossia il caregiver).

Le ricerche sull'attaccamento, avviate da Bowlby (1907-1990) e poi portate avanti sino ai giorni d'oggi, sembrano confermare che la qualità e tipologia di comunicazione e relazione genitore-figlio nei primi anni di vita influenza lo sviluppo relazionale ed emotivo dei bambini una volta adulti. Fattore rilevante è la sintonizzazione affettiva, ossia quel processo attraverso cui i genitori riescono ad allineare il proprio stato emotivo a quello del bambino attraverso il canale verbale e non verbale (tono di voce, mimica facciale ecc).

La combinazione di predisposizione biologica temperamentale e difficoltà di sintonizzazione genitore-figlio possono predisporre con più facilità all'insorgenza di un disagio emotivo comportamentale e/o corporeo in presenza di esperienze di vita stressanti.

Di fronte al disagio emotivo del bambino, possono quindi essere utili due tipi di intervento. Da un lato un intervento psicologico di sostegno ai genitori, in modo da aiutarli a predisporre un contesto relazionale e familiare che consolidi il lavoro svolto col figlio; dall'altro, un intervento psicologico col bambino, al fine di aiutarlo ad attivare strategie e risorse più adattive di riposta a determinate situazioni stressanti.