Una pratica che accoglie: Mindfulness e "Assenza di Sforzo"
Mindfulness e "Assenza di Sforzo"
In questo articolo poniamo l'attenzione su alcuni atteggiamenti che possono rendere la pratica della Mindfulness molto più semplice, in particolare per chi ha poca esperienza.
Un po' come aprire una porta con una piuma.
Un esempio concreto:
Un esercizio spesso proposto nei percorsi di Mindfulness consiste nel chiedere ai partecipanti:
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"Prova a osservare te stesso mentre parli con una persona e chiedi a te stesso:
- Cosa sento nel corpo?
- Qual è l'emozione che provo?
- Cosa mi fa sentire così?
- Cosa vorrei davvero da questo scambio?
- Posso cambiare qualcosa in me per migliorare questa conversazione?"
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Assenza di Sforzo:
La cosa più importante di questo esercizio è la parola "prova", la quale contiene due atteggiamenti chiave che possono semplificare di molto la pratica:
- Non c'è alcun risultato da raggiungere: "i meditatori esperti possiedono il tesoro umano più prezioso: il senso dell'umorismo. Sanno ridere dei propri insuccessi. I principianti invece spesso sono troppo seri e desiderosi di risultati. Lasciate perdere le vostre aspettative, godetevi la vostra meditazione. La meditazione stessa si occuperà del futuro." (Gunaratana, 1995)
- Lascia fare al tuo corpo: "un buon punto di partenza è fidarci della saggezza naturale del corpo. Possiamo fidarci del fatto che il respiro che facciamo si prenderà cura di sé stesso. C'è una saggezza nel corpo che ci ricorda che anche noi siamo degni di fiducia quindi più impariamo a darci fiducia e più impariamo a portare fiducia nelle nostre relazioni. (Kabat Zinn, 2013)
Lasciati accogliere:
Se la pratica ti appare impegnativa, sappi che il tuo istruttore ha provato le tue stesse emozioni e, come te, ha avuto le sue fragilità. Nessuno più di lui/lei può offrirti accoglienza. La Mindfulness non si impara leggendo. E' un addestramento pratico, e chi la insegna deve averla dapprima sperimentata su di sé.
Ogni tua paura sarà sempre accolta con lo sguardo benevolo di chi conosce le tue fatiche e le tue potenzialità.
Nei gruppi di Mindfulness insegnanti e discenti condividono tutti un percorso di scoperta e di trasformazione, senza giudizio e senza alcuna pressione ma anzi con spirito di ammirazione e benevolenza reciproca.
La scienza è tua amica:
L'unione tra tradizione millenaria e psicologia moderna è uno dei più grandi doni che la Mindfulness ha fatto alla nostra epoca.
Se conduci le tue sessioni con uno psicoterapeuta abilitato all'insegnamento della Mindfulness, avrai al tuo fianco un ulteriore alleato. Il tuo istruttore potrà fornirti un ulteriore aiuto che deriva dalla conoscenza di come funziona la mente umana.
Avere un istruttore che conosce anche questi aspetti permette a te stesso di aumentare la tua auto-accoglienza, perché ti permette di comprendere che le tue esperienze hanno una causa ben definita, comune a tutti e, come tale, affrontabile.
In conclusione:
Nel libro "Airman's Odyssey" Antoine de St. Exupéry scrive "l'amore non consiste nel fissarsi reciprocamente, ma nel guardare insieme nella stessa direzione."
Oggi è sempre più frequente che la direzione comune verso cui guardiamo quando siamo con gli altri sia quella della televisione o dello smartphone. Non abbiamo più il coraggio di alzare lo sguardo e incontrare gli occhi dell'altro.
Recuperare la capacità di guardarsi con gioia è una meta nobile. Trovare una via che ci conduca a questa nobile meta con accoglienza, senza fretta e nel rispetto dei nostri tempi, è un atteggiamento saggio.
Approfondiremo questi argomenti
nel percorso "Mindfulness e Relazioni"
in partenza martedì 7 novembre 2023
Bibliografia:
- A. de Saint-Exupery: "Airman's Odyssey", Mariner Books, Boston, 1984
- H. Gunaratana: "La pratica della consapevolezza. In parole semplici". Astrolabio Ubaldini, Roma, 1995
- J. Kabat Zinn: "Jon Kabat-Zinn Mindfulness 9 attitudes - trust.", Intervista video di Mindfulnessgruppen, 2013, disponibile su Youtube al seguente link: https://tinyurl.com/yuhp7av9
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La "Ferita dell'Altro": Mindfulness e Relazioni
La "Ferita dell'Altro": Mindfulness e Relazioni
Le relazioni umane sono un aspetto fondamentale della vita e influenzano il nostro benessere personale e le dinamiche sociali, dalle interazioni familiari a quelle più intime, fino agli eventi pubblici e alle tensioni internazionali.
In vista della partenza del percorso "Mindfulness e Relazioni" prevista per martedì 7 novembre, proviamo a comprendere le basi scientifiche delle relazioni umane, integrando neuroscienze, Mindfulness e insegnamenti spirituali.
Relazioni umane nelle tradizioni millenarie:
Nel libro "La ferita dell'altro: economia e relazioni umane" Luigino Bruni si chiede come mai nelle società moderne, nonostante la ricchezza materiale, le persone spesso si sentano infelici. Egli prende spunto dalla storia di Giacobbe e l'Angelo nella Genesi:
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«Quegli gli disse "Lasciami andare". Giacobbe rispose: "Non ti lascerò se non mi avrai benedetto". Gli domandò "Come ti chiami?". Rispose: "Giacobbe". E qui lo benedisse.» [Genesi (32,23-34)]
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La citazione rappresenta simbolicamente l'idea che nelle relazioni umane, spesso, dobbiamo affrontare momenti difficili o "ferite" per raggiungere una maggiore comprensione, crescita e "benedizione" all'interno di quelle relazioni.
Bruni parla un "indissolubile legame tra ferita e benedizione presente in ogni rapporto umano. Prima o poi ogni persona capisce nella propria carne e intelligenza che, se vuole sperimentare la benedizione legata al rapporto con l'altro, deve accettarne la ferita e che qualunque via di fuga da questo "combattimento" e da questa agonia conduce inevitabilmente verso una condizione umana senza gioia. Lo sappiamo e sappiamo che è anche tutto molto difficile»
Nella pratica millenaria della Mindfulness, il termine "Samyojana", ("Catene" o "Nodi interni" in italiano), svolge un ruolo cruciale nella comprensione e nel miglioramento delle relazioni. I 'Samyojana' sono i modi in cui pensiamo, che ci tengono bloccati nella sofferenza. Sono come catene che dobbiamo capire e sciogliere per sentirci meglio e per vivere meglio le nostre relazioni.
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«Quali sono le catene nel mondo? / E come sono fatte? / Come possono essere distrutte e abbandonate?» [Samyutta Nikaya 1.64: Samyojana Sutta].
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Thich Nhat Hanh - monaco buddista vietnamita, attivista per la pace e maestro di Mindfulness - fa riferimento all'osservazione dei "Samyojana" come chiave per guarire le nostre relazioni:
«Osservare noi stessi può portare alla luce un Nodo interno. Potremmo sentire una certa resistenza a continuare a guardarlo, ma se abbiamo sviluppato la capacità di restare fermi e osservare i nostri sentimenti, la fonte del Nodo si rivelerà e ci darà indizi su come scioglierlo. Quando viviamo con un'altra persona, questa pratica è molto importante per proteggere la felicità di entrambi»
Relazioni umane e psicologia:
La psicologia moderna ha da sempre messo le relazioni al centro della propria indagine e le neuroscienze hanno dedicato ad esse un intero campo di indagine chiamato "neuroscienze affettive".
Il pioniere di questi studi è stato Jaak Panksepp, un neuroscienziato nato a Tartu in Estonia nel 1943 ed emigrato negli Stati Uniti nel secondo dopoguerra. Panksepp individua tre tipi di processi affettivi: primari, secondari e terziari.
- Primari: sono presenti in noi sin dalla nascita e accomunano tutti i mammiferi poiché si attivano nelle parti del cervello più antiche. In un certo senso sono sono il nostro punto di partenza per comprendere il mondo e sono sette: Esplorazione, Paura, Rabbia, Desiderio sessuale, Cura e accudimento, Sofferenza, e Giocosità;
- Secondari: sono più sofisticati e si sviluppano nel corso della nostra vita grazie alle esperienze e alle interazioni con gli altri. Alcuni esempi sono l'amore romantico, la compassione, la gelosia e persino l'orgoglio;
- Terziari: sono ancora più avanzati e coinvolgono la nostra capacità di metterci nei panni degli altri e riflettere sulle nostre emozioni. Sono tipici degli esseri umani perché coinvolgono le parti del cervello più esterne che solo gli umani possiedono.
La Mindfulness può "guarire" le relazioni?
Il percorso di 8 settimane "Mindfulness e Relazioni" aiuta anche chi non ha mai meditato a migliorare le proprie abilità relazionali, poiché migliora la capacità di:
- Sentire ciò che accade: la meditazione Mindfulness è un'attività pratica che, se opportunamente guidata, permette di fare esperienza diretta delle reazioni automatiche che proviamo quando le relazioni ci sfidano a livello emotivo;
- Capire ciò che accade: grazie alla condivisione delle esperienze e alla psico-educazione, i partecipanti ai percorsi di Mindfulness e Relazioni, possono capire "perché" alcuni processi si attivano e come mai è normale che si attivino;
- Trasformare ciò che accade: grazie ad esercizi specifici e alla continuità di pratica permette di rafforzare i processi affettivi terziari, tipicamente umani, che permettono di regolare le nostre emozioni, e anche di disinnescare i processi secondari alla base delle reazioni automatiche che spesso peggiorano la qualità delle nostre relazioni.
Il percorso "Mindfulness e Relazioni" promuove l'ascolto e l'osservazione accogliente degli altri e di sé stessi, migliorando la comprensione delle emozioni nelle relazioni e contribuendo al benessere personale e relazionale.
Riferimenti bibliografici:
- L. Bruni: "La ferita dell'altro. Economia e relazioni umane", Il Margine, Trento, 2017
- S. Chan Khong: "Ricominciare da Capo", Lindau, Torino, 2017
- L. Biven, J.Panksepp: "Archeologia della mente: origini neuroevolutive delle emozioni umane", Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014
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Cosa significa "non giudizio" nella Mindfulness?
Cosa significa "non giudizio" nella Mindfulness?
Il "non giudizio" è un elemento essenziale della pratica di Mindfulness e in questo articolo proviamo a spiegarlo in modo semplice.
Reattività e cervello veloce:
Immagina di trovarti in un bosco. Stai camminando tra alberi e cespugli quando all'improvviso senti uno strano fruscìo provenire verso di te. Cosa fai? Probabilmente ti allontani istintivamente e poi forse cerchi di capire di cosa si tratta.
Ciò accade perché tutti noi abbiamo "due cervelli", uno veloce e uno lento.
- Il cervello lento è più "antico", poco raffinato e produce stress, ma ha l'indubbio vantaggio di aiutarci a reagire all'istante di fronte a situazioni di pericolo.
- Il cervello veloce invece è più "giovane", permette una regolazione più fine delle nostre risposte senza eccessivo dispendio energetico ma impiega un bel po' ad accendersi.
Il problema è che per noi umani le situazioni in grado di attivare il cervello “veloce”, e quindi di produrre stress, si accumulano in continuazione, e non solo quando c'è in gioco la sopravvivenza ma ogni volta che vogliamo proteggerci dal dolore fisico o emotivo.
Il cervello "veloce" tende a fuggire o a combattere il dolore esattamente come fa di fronte al fruscio nel bosco.
Questa automazione della lotta o della fuga si chiama "reattività", è innata e spesso ci aiuta a sopravvivere ma non ci è di alcun aiuto quando si presenta un dolore, fisico o emotivo, con cui dobbiamo coesistere almeno per un certo periodo di tempo.
È qui che la Mindfulness, e il suo tratto distintivo del non giudizio, diventano davvero preziosi.
Mindfulness e non giudizio:
La Mindfulness è definita come la "consapevolezza che emerge dal prestare attenzione di proposito, nel momento presente e in maniera non giudicante, allo scorrere dell’esperienza, momento dopo momento" (Kabat-Zinn 2003).
Ma cosa vuol dire "non giudicante"?
Non giudicante vuol dire che quando si medita non basta portare l'attenzione al respiro, ma che occorre farlo in un certo "modo", o con una specifica "attitudine".
Quando ci poniamo in uno stato meditativo non giudicante gli eventi esterni e interni sono riconosciuti attraverso i nostri cinque sensi, ma non vanno letti e interpretati dalla nostra mente.
Ciò non è affatto semplice. Richiede pazienza, costanza e benevolenza verso sé stessi e verso i propri automatismi. D'altra parte un elemento essenziale della Mindfulness è la compassione, verso sé stessi.
Ogni volta che inevitabilmente cadiamo nella tendenza a giudicare un'esperienza come "buona" o "cattiva", siamo invitati a riconoscere questa attività di giudizio e a riportare l’attenzione al principale oggetto di meditazione, ad esempio il respiro.
Con il tempo, coltivando l'arte del non giudizio, è possibile uscire dai propri schemi di pensiero abituali, diventando semplici testimoni delle esperienze interne ed esterne.
Ciò conduce ad un diverso rapporto con qualunque esperienza e favorisce una maggiore autoregolazione emotiva, una maggiore capacità di esporsi a situazioni precedentemente temute con il fine di accoglierle e trasformarle.
I benefici dell'attitudine non giudicante propria della Mindfulness sono state riscontrate sia in condizioni non cliniche che in molte condizioni cliniche quali Depressione, Ansia, Disturbo Ossessivo Compulsivo, Disturbi del Comportamento Alimentare, Trauma, Psicosi, pazienti affetti da SLA e loro caregiver.
E' comunque importate sottolineare che nel caso di condizioni cliniche di entità severa la partecipazione ai percorsi di Mindfulness non è da intendersi come sostitutiva degli approcci medici e psicologici più tradizionali ma rappresenta un'importante approccio terapeutico complementare all'interno di un percorso integrato che può includere diverse figure professionali.
Chi fosse interessato ad approfondire l'atteggiamento non giudicante può farlo all'incontro di mantenimento delle pratiche di Mindfulness dal titolo "Libertà dal Giudizio", che il Dott. Alberto Chiesa terrà lunedì 23 ottobre alle 20:45 presso la sede dell'Istituto Mente e Corpo.
Bibliografia di riferimento:
- Definizione di Mindfulness: Kabat-Zinn J. (2003). "Mindfulness-based interventions in context: past, present and future". Clinical Psychology: Science and Practice 10, 144-156.
- Cervello veloce e lento: LeDoux J. (1996). "The emotional brain. The mysterious underpinning of emotional life". Touchstone Books, Florida. Tr it. "Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni". Baldini e Castoldi, Milano, 2014
- Regolazione emotiva: Goldin P.R., Gross J.J. (2010). "Effects of mindfulness-based stress reduction (MBSR) on emotion regulation in social anxiety disorder". Emotion 10, 1, 83-91.
- Ansia; Baker A.W., Frumkin M.R., Hoeppner S.S., LeBlanc N.J., Bui E., Hofmann S.G., Simon N.M. (2019). "Facets of Mindfulness in Adults with Generalized Anxiety Disorder and Impact of Co-occurring Depression". Mindfulness (N Y) 10, 5, 903-912.
- Disturbo Ossessivo Compulsivo: Hawley L.L., Rogojanski J., Vorstenbosch V., Quilty L.C., Laposa J.M., Rector N.A. (2017). "The structure, correlates, and treatment related changes of mindfulness facets across the anxiety disorders and obsessive-compulsive disorder". Journal of Anxiety Disorders 49, 65-75.
- Disturbi del Comportamento Alimentare: Martini M., Marzola E., Brustolin A., Abbate-Daga G. (2021). "Feeling imperfect and imperfectly feeling: A network analysis on perfectionism, interoceptive sensibility, and eating symptomatology in anorexia nervosa". Eur Eat Disord Rev 29, 6, 893-909.
- Trauma: Kelly A. (2015). "Trauma-Informed Mindfulness-Based Stress Reduction: a promising new model for working with survivors of interpersonal violence". Smith College Studies in Social Work 85, 2, 194-219.
- Psicosi: Abba N., Chadwick P., Stevenson C. (2008). "Responding mindfully to distressing psychosis: A grounded theory analysis". Psychother Res 18, 1, 77-87.
- Pazienti affetti da SLA e caregiver: Marconi A., Gragnano G., Lunetta C., Gatto R., Fabiani V., Tagliaferri A., Rossi G., Sansone V., Pagnini F. (2016). "The experience of meditation for people with amyotrophic lateral sclerosis and their caregivers - a qualitative analysis". Psychology, health & medicine 21, 6, 762-768.
Mindfulness e Terapia focalizzata sulla Compassione
Nel lessico comune il termine "Compassione" ha un significato spesso negativo. Anche nel dizionario Treccani la locuzione "fare compassione" è intesa nel senso di "suscitare un senso di sprezzante commiserazione, detto di cose biasimevoli, ridicole, meschine, di lavori mal riusciti, di persone inette".
In questo articolo proviamo a spiegare che la compassione ha un significato ben diverso nella tradizione psicologica applicata alla Mindfulness.
Speriamo che ciò sia utile per comprendere le basi scientifiche del percorso Mindfulness e Compassione, condotto dal Dott. Alberto Chiesa, in partenza il prossimo 5 settembre.
Cos'è la Terapia Focalizzata sulla Compassione
La Terapia Focalizzata sulla Compassione o CFT (Compassion Focused Therapy) è un approccio terapeutico nato oltre 20 anni fa ad opera del professor Paul Gilbert con l'obiettivo di aiutare i pazienti che non rispondevano agli interventi di psicoterapia standard. Questi pazienti non erano in grado di cambiare il loro dialogo interiore, rendendolo maggiormente improntato alla gentilezza e alla benevolenza verso sé stessi.
Gilbert ha ipotizzato che questi pazienti non riuscissero ad accedere ad un particolare sistema emotivo definito "sistema calmante di appagamento e sicurezza".
Secondo Gilbert infatti, nel cervello sono presenti tre circuiti integrati, in costante interazione e responsabili dei diversi tipi di emozioni:
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Il sistema di protezione dalla minaccia: ci aiuta a fronteggiare rapidamente i pericoli e a ristabilire o mantenere una condizione di sicurezza, ed è responsabile delle cosiddette emozioni negative come rabbia, ansia e disgusto;
-
Il sistema di ricerca di stimoli e risorse: ci spinge alla ricerca di mezzi per sopravvivere, ed è responsabile di emozioni connotate da eccitamento ed euforia, connesse alla comparazione con gli altri e quindi anche all’orgoglio;
-
Il sistema calmante di appagamento e sicurezza: responsabile delle relazioni di accudimento della prole, produce emozioni positive connesse al rallentamento, alla tranquillità e all'appagamento, capaci di generare uno stato fisiologico di calma, piacere e sicurezza intrinseca.
Quest'ultimo sistema è il cuore della Terapia focalizzata sulla Compassione.
Riuscire ad accedere e a potenziare il proprio sistema calmante di appagamento e sicurezza è essenziale per modificare il proprio dialogo interiore, rendendolo maggiormente improntato ad una maggiore benevolenza verso sé stessi.
Mindfulness e Terapia focalizzata sulla Compassione
Le pratiche di Mindfulness ispirate alla Terapia focalizzata sulla Compassione hanno due obiettivi principali
- In primo luogo mirano ad insegnare ai partecipanti a riconoscere i diversi sistemi che si attivano istintivamente di fronte alle esperienze spiacevoli, insegnando loro a riconoscere le emozioni ad essi associate: rabbia e autocritica - sistema della minaccia -, frustrazione e desiderio di superare i propri limiti - sistema della ricerca di stimoli - o benevolenza e desiderio di supportare sé stessi - sistema calmante di sicurezza;
- In secondo luogo, hanno lo scopo di potenziare il sistema calmante di appagamento e sicurezza, rendendo i partecipanti in grado di fronteggiare situazioni difficili con un minore senso di autocritica o auto-giudizio e una maggiore benevolenza e supporto verso sé stessi. Più in generale tali pratiche insegnano a vivere maggiormente il presente con un'attitudine di appagamento intrinseco, privo del senso di eccessiva minaccia derivante dalle preoccupazioni per il futuro e della costante insoddisfazione che spinge all'insaziabile ricerca di stimoli.
Benefici della Mindfulness basata sulla Compasione
L'integrazione di Mindfulness e Terapia Basata sulla Compassione ha dimostrato di apportare significativi benefici. Attraverso la pratica regolare, si può imparare a rispondere in modo completamente nuovo alle proprie difficoltà e ai momenti di sofferenza e ciò è di grande aiuto nella vita di tutti i giorni, per una varietà di condizioni sia cliniche che non, quali ad esempio: riduzione dello stress e dell'ansia, miglioramento dell'autostima, riduzione dei sintomi depressivi, miglioramento delle relazioni interpersonali.
La Mindfulness-Based Stress Reduction come supporto nella cura per il cancro
Oggi, 4 febbraio, si celebra la ventitreesima Giornata mondiale contro il cancro, World Cancer Day, promossa dalla UICC - Union for International Cancer Control e sostenuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che rappresenta un importante richiamo a riflettere su cosa ognuno può fare per combattere il cancro.
In questo senso la Mindfulness-Based Stress Reduction (Kabat-Zinn 1990), un protocollo di gruppo di 8 incontri focalizzato sul coltivare l’abilità di essere consapevoli del momento presente in modo accogliente e non giudicante, si è rivelata essere un utile strumento per le persone che lottano contro il cancro. Infatti, l’essere consapevoli del proprio corpo e delle proprie emozioni può aiutare a ridurre lo stress e l'ansia, che sono stati collegati a un peggioramento della prognosi del cancro.
Come tutte le esperienze umane, anche quella del tumore è molto personale e intima. Ogni persona che si trova ad affrontare questo faticoso percorso seguirà una strada personale basata sulle strategie che nel tempo ha imparato per superare le situazioni difficili. Tuttavia, molto spesso si osserva una marcata tendenza alla ruminazione depressiva legata ad un forte senso di vulnerabilità e mancanza di speranza. Questa strategia di regolazione passiva delle emozioni non solo risulta essere poco efficace, ma può anche avere conseguenze negative sulla propria salute fisica e psicologica. È in questo contesto che la pratica della mindfulness può essere di grande aiuto nel riconoscere e superare i propri automatismi.
Il primo e ad oggi più studiato protocollo di Mindfulness per pazienti oncologici è stato proposto all’inizio degli anni 2000 da Speca e Carlson (Speca, Carlson, Goodey, & Angen, 2000). La sua efficacia è stata confermata da numerosi studi successivi che nel corso degli anni hanno dimostrato come questo protocollo permetta una significativa diminuzione dei livelli di ansia, depressione e rabbia nei pazienti oncologici.
Obiettivo principale di questo protocollo è aiutare i partecipanti a cambiare la loro prospettiva imparando a rapportarsi alle esperienze negative e spiacevoli in modo diverso e nuovo. Per raggiungere questo obiettivo i partecipanti sono invitati a seguire anche pratiche di compassione e autocompassione volte a connettersi alla propria sofferenza e al senso di calore data dalla connessione fra tutti gli esseri umani.
Connettendosi al momento presente, grazie alle pratiche di mindfulness, i partecipanti imparano a rompere il circolo vizioso della preoccupazione ansiosa che porta l’attenzione delle persone ad essere quasi totalmente rivolta al monitoraggio delle sensazioni spiacevoli e negative dando così origine a interpretazioni negative sul proprio stato di salute (Moorey, 2002). Questi pensieri a loro volta generano ulteriori sentimenti di forte preoccupazione e ansia che possono andare ad alimentare dolore fisico e tensione.
Attraverso la pratica della Mindfulness, invece, le persone imparano a notare e interrompere questo circolo vizioso assumendo un atteggiamento gentile e amorevole nei propri confronti. Ritornando a riconoscere in modo accogliente e non giudicante pensieri, emozioni e sensazioni corporee, i praticanti possono interrompere il circolo vizioso e tornare ad essere genuinamente connessi con la propria esperienza emotiva (Bartley, 2012).
Come precedentemente accennato, la ricerca da anni dimostra l’efficacia del protocollo di MBCT per pazienti oncologici. Ad esempio, in uno studio condotto con pazienti con diagnosi di cancro al seno o ginecologico sono emersi significativi benefici in termini di distress percepito (Stafford, Thomas, & Foley, 2016) e altre ricerche hanno dimostrato un importante contributo in tal senso, anche nei riguardi dei parenti dei pazienti (Wood, Gonzalez, & Barden, 2016)
Bibliografia
Bartley, T. (2012). Mindfulness- Based Cognitive Therapy for Cancer. West Sussex (UK): Wiley-Blackwell.
Kabat-Zinn, J. (1990). Full catastrophe living: using the wisdom of your body and mind to face stress, pain and illness. Dell Publishing, New York.
Moorey, S. &. (2002). Cognitive behaviour therapy for pople with cancer. Oxford: Oxford Press Univesity.
Speca, M., Carlson, L. E., Goodey, E., & Angen, M. (2000). A randomized, wait-list controlled clinical trial: the effect of a mindfulness meditation-based stress reduction program on mood and symptoms of stress in cancer outpatients. Psychosom Medicine, 62(5), 613-22.
Stafford, L., Thomas, N., & & Foley, E. (2016). Mindfulness-based cognitive therapy in women with breast and gynecologic cancers. In S. J. Eisendrath, Mindfulness-based cognitive therapy: Innovative applications (p. 47-63). S. J. Eisendrath (Eds.).
Wood, A. W., Gonzalez, J., & & Barden, S. M. (2016). Mindfulness-based cognitive therapy and caregivers of cancer survivors. In S. J. Eisendrath, Mindfulness-based cognitive therapy: Innovative applications (p. 215-227). S. J. Eisendrath (Eds.).
Mindfulness: un protocollo di trattamento individuale per pazienti con dolore cronico
La mindfulness è stata descritta come “la consapevolezza che emerge dal prestare attenzione di proposito, nel momento presente e in maniera non giudicante, allo scorrere dell’esperienza, momento dopo momento” [1]. Numerosi studi hanno dimostrato che lo sviluppo di tale consapevolezza può favorire una crescente comprensione e una graduale riduzione dei propri automatismi, reattività e giudizi che limitano la possibilità di approcciarsi alla vita con flessibilità, apertura e curiosità e che, in maniera concomitante, possono essere causa di malessere fisico e psicologico.
Negli ultimi 40 anni si sono accumulate numerose evidenze che hanno dimostrato l’efficacia di diversi interventi di gruppo basati sulla mindfulness come la Mindfulness Based Stress Reduction (MBSR) e la Mindfulness Based Cognitive Therapy (MBCT) per una larga varietà di condizioni mediche e psicologiche, che spaziano dai disturbi d’ansia e dell’umore ai disturbi alimentari e da uso di sostanze, dal dolore cronico all’ipertensione [2]. Tuttavia, negli ultimi anni crescente attenzione sta venendo data anche all’impiego della mindfulness nel contesto della terapia individuale come mezzo per adattare meglio la pratica della mindfulness alle specifiche esigenze dei singoli pazienti.
Coerentemente col gran numero di studi che si è focalizzato sull’utilizzo dell’MBSR per la riduzione dello stress e per il miglioramento della qualità della vita in pazienti sofferenti di varie forme di dolore cronico, tra cui fibromialgia, dolore cronico muscoloscheletrico, emicranie e cefalee croniche, alcuni studi si sono recentemente focalizzati sull’efficacia di interventi individuali di mindfulness in campioni di pazienti con dolori cronici. Uno degli studi di maggiore rigore metodologico è certamente quello coordinato dal dot. Burns del Dipartimento di Psichiatria e Scienze Comportamentali del Rush University Medical Center di Chicago in un vasto campione di 521 soggetti che soffrivano di lombalgia cronica [3]. Scopo degli autori era quello di comparare tre trattamenti attivi individuali di già provata efficacia – almeno nei rispettivi formati di gruppo – di 8 incontri della durata di 90 minuti l’uno, ovverosia un intervento di mindfulness basato sull’MBSR, un intervento di terapia cognitiva e un intervento di terapia comportamentale sia tra loro che con una lista d’attesa, rispetto a 5 variabili: la riduzione dell’interferenza connessa al dolore (come outcome primario), l’intensità del dolore, i sintomi depressivi, il funzionamento fisico e i disturbi del sonno soggettivamente percepiti come outcome secondari.
A tal fine, gli autori hanno randomizzato i pazienti ai 4 gruppi di intervento. Inoltre, durante le 8 settimane di trattamento, hanno condotto delle valutazioni settimanali al fine di esplorare il momento a partire dal quale nei tre trattamenti attivi si fossero iniziati ad osservare miglioramenti clinici significativamente maggiori rispetto al gruppo di soggetti randomizzato alla lista d’attesa. Lo studio includeva, inoltre, una valutazione di follow-up a 6 mesi dal termine del periodo di trattamento volta a valutare il mantenimento dei benefici dopo il termine degli interventi. Partendo dalla considerazione che esistono diversi modi per valutare la possibile superiorità di un trattamento rispetto all’altro e immaginando la sostanziale comparabilità in termini di efficacia dei tre trattamenti attivi, gli autori desideravano esplorare la possibile superiorità di un intervento rispetto all’altro nei termini di una maggiore velocità nel portare agli effetti benefici desiderati e/o una maggiore durata dei benefici.
I risultati dello studio hanno mostrato che gli interventi individuali di mindfulness, di terapia cognitiva e di terapia comportamentale portavano a miglioramenti significativi e tra loro equivalenti su tutte le misure indagate nello studio. Inoltre, per la maggior parte delle misure, i benefici connessi a tutti e tre i trattamenti attivi si differenziavano da quelli connessi al solo trattamento standard a partire dalla sesta settimana, indicando, anche in questo caso, la sostanziale equivalenza di efficacia, in termine di velocità di risposta al trattamento, tra i tre trattamenti attivi. Infine, risultato non meno importante, i miglioramenti osservati al termine del periodo di trattamento tendevano a mantenersi in modo sostanzialmente equivalente al follow-up a 6 mesi suggerendo, anche su questo aspetto, la sostanziale comparabilità in termini di efficacia del protocollo individuale di MBSR con altri due interventi di già provata efficacia e la superiorità dei tre interventi rispetto alle sole cure tradizionali.
Bibliografia
1. Kabat-Zinn, J., Mindfulness-based interventions in context: past, present and future. Clinical Psychology: Science and Practice, 2003. 10: p. 144-156.
2. Chiesa, A., Gli interventi basati sulla Mindfulness. Cosa sono, come agiscono, quando utilizzarli. 2011, Roma: Giovanni Fioriti Editore.
3. Burns, J.W., et al., Cognitive therapy, mindfulness-based stress reduction, and behavior therapy for the treatment of chronic pain: randomized controlled trial. Pain, 2021.
Dott. Alberto Chiesa
Psichiatra psicoterapeuta
Istruttore di interventi basati sulla mindfulness
Dottore di ricerca in neuropsicofarmacologia
Mindful eating: imparare a nutrire il corpo
Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’alimentazione eccessiva e/o scorretta è uno dei quattro fattori di rischio delle più importanti patologie cronico-degenerative (malattie cardiovascolari e respiratorie, tumori, diabete, obesità), rappresentanti la principale causa di mortalità del mondo occidentale.
Seppur a conoscenza degli ingredienti di uno stile alimentare salutare, ogni anno si spendono milioni di euro nell’acquisto di prodotti per perdere peso. L’ “industria delle diete” ci suggerisce l’idea che perderlo sia facile, eppure uno dei tipici effetti visibili a lungo termine consiste in una ripresa se non in un franco aumento del peso. Come mai seguire uno stile alimentare salutare risulta così difficile?
Mangiare non è semplicemente un atto necessario. Il nostro rapporto con il cibo è sì determinato da fattori biologici (la fame), ma è anche conseguenza di stimoli ambientali, sociali, familiari e psicologici. Il cibo veicola relazioni, significati, emozioni che non possono essere ricondotte solo ad uno schema alimentare. Mangiamo per fame e mangiamo alle feste. Offriamo del cibo ai nostri ospiti ed è con il cibo che festeggiamo un evento importante. Digiuniamo per onorare un precetto religioso. Emozioni come tristezza e rabbia trovano spesso consolazione nel cibo e non hanno nulla a che fare con il nostro bisogno di alimentarci e con l’essere affamati. Ci sono poi cibi che ci aiutano a gestire delle situazioni difficili. Cibi che ci consolano. Cibi che ci ricordano bei momenti del nostro passato e cibi che ci aiutano ad affrontare un presente difficile.
Sebbene l’uso saltuario del cibo come veicolo di emozioni non sia di per sè sbagliato, lo diventa quando si trasforma nell’unica strategia disponibile ogni volta che sono stanco, arrabbiato, deluso, annoiato. E’ in quest’ultimo caso che diviene allora necessario comprendere le ragioni di questo comportamento e porvi rimedio.
L’emotional eating (il mangiare emotivo) è un comportamento alimentare nel quale il cibo è utilizzato allo scopo di sentirsi meglio; mangiare diventa un modo per riempire dei “vuoti” emotivi, piuttosto che per riempire lo stomaco, e spesso avviene in modo automatico e senza la nostra consapevolezza.
Il cibo come strumento di gestione delle emozioni è risultato chiaro anche durante questi lunghi mesi di pandemia. La quarantena, lo stare soli, la rinuncia ad attività sociali e ricreative sembrerebbe aver prodotto un malessere che per molti è stato gestito con il cibo. “Mi annoio. Che faccio? Mangio”. “Sono in ansia. Che faccio? Mangio”.“Sono arrabbiato. Che faccio? Mangio.” Uno studio condotto da un team di ricerca dell’Università di Padova (Checcetto et al. 2021), effettuato per comprendere l’impatto dell’isolamento sulle abitudini alimentari della popolazione italiana, ha dimostrato un aumento di disturbi da fame emotiva e alimentazione incontrollata (episodi in cui si assumono grandi quantità di cibo in un tempo relativamente breve con la sensazione di perdere il controllo su cosa e quanto si stia mangiando) sia nella fase di lockdown completo che nella fase di minori misure restrittive. Più è alto il livello di alessitimia, la difficoltà cioè di identificare i propri sentimenti e nel distinguere tra sensazioni emotive e fisiche, maggiori sono le probabilità di incorrere in episodi di fame emotiva.
Se mangiare è diventato un automatismo e nel cibo riversiamo le nostre emozioni, non basta quindi conoscere le linee guida di una sana alimentazione, ma bisogna imparare ad instaurare un nuovo rapporto con il cibo. Quali rimedi?
Partecipare a un protocollo Mindful Eating (MB-EAT) si è dimostrato efficace nella gestione del rapporto con il cibo e nel promuovere una relazione più equilibrata con l’alimentazione. L’applicazione della mindfulness all’alimentazione mira a prendere contatto con i propri stati interni ed emozioni e ad operare scelte alimentari più consapevoli. Il protocollo, ideato da Jean L. Kristeller (1999), ha l’obiettivo di rompere il circolo vizioso che lega lo stress o una difficoltà a gestire le emozioni e il cibo. E’ stato quindi creato per quelle persone che hanno la tendenza a mangiare in modo inconsapevole quando sono sotto la spinta emotiva o in condizioni di stress, che hanno abitudini alimentari disordinate o che soffrono di sovrappeso o obesità, con un miglioramento del comportamento alimentare e la perdita di peso (Daubenmier et. al., 2011; Mason et. Al., 2016).
Il corso, strutturato in incontri di gruppo a cadenza settimanale, prevede l’apprendimento di strumenti pratici, tecniche e modalità specifiche finalizzate a sviluppare un nuovo rapporto col cibo, non basato su divieti, programmi, restrizioni, ma su un’esplorazione genuina e curiosa, aperta e sincera, volta a recuperare un rapporto sereno, saggio e positivo con il cibo, con l’alimentazione e con il nostro corpo. Mangiare in modo consapevole vuol dire acquisire un nuovo e duraturo rapporto con il cibo, un’opportunità per imparare cosa e come mangiare. E’ un modo per imparare ad ascoltare i segnali del proprio corpo e capire la differenza che c’è tra un’attivazione che spinge a mangiare o a non mangiare dovuta allo stress, alla fame o alla sazietà. Ci aiuta a comprendere meglio le emozioni, a viverle in modo più funzionale al proprio benessere e a creare nuove modalità funzionali di interazione con il cibo (es. gestire gli attacchi di fame emotiva, gestire meglio l’onda emotiva e i pensieri disfunzionali legati all’assunzione del cibo).
Dott.ssa Francesca Giglio
C. Ceccetto, M. Aiello, C. Gentili, S. Ionta, S.A. Osimo (2021). Incresed emotional eating during COVID-19 associated with lockdown, psychological and social distress. Appetite. 160, 105122
Lilian Cheung, Thich Nhat Hanh (2010). Savor: Mindful Eating, Mindful Life. HarperCollins Editore
La malattia oncologica ed i protocolli di mindfulness, quali prospettive?
La diagnosi di cancro e le sfide che accompagnano la malattia coinvolgono il paziente, la sua famiglia e l’ambiente sociale. I principali problemi che il paziente oncologico deve affrontare sono la presenza di stress cronico, possibili recidive, un contesto di vita mutevole e imprevedibile, dove c’è la necessità di affrontare l’incertezza e gestire il dolore. Il vissuto del paziente oncologico è complesso, caratterizzato da un’ insieme di sintomi psicologici (ansiosi, depressivi, post-traumatici) e fisici (il dolore, la nausea, la l’affaticamento), con cui la persona deve convivere, a volte, per molto tempo. Grazie allo sviluppo di terapie mediche sempre più efficaci, la sfida a cui va incontro il paziente oncologico e la sua famiglia è la ricerca di un adattamento nel tempo. Le pratiche di mindfulness possono rappresentare un aiuto preziosissimo per la gestione dei vissuti psicologici e per affrontare le sfide nella quotidianità? Cos’è la mindfulness? In che modo può essere di aiuto per i pazienti oncologici ed i familiari? La mindfulness può essere definita come la consapevolezza che emerge dal prestare intenzionalmente attenzione al dispiegarsi dell’esperienza nel momento presente, in modo non giudicante, e può essere coltivata tramite apposite pratiche di meditazione e programmi strutturati come il protocollo di Riduzione dello Stress Basata sulla Mindfulness (MBSR) di J. Kabat Zinn.
Gli approcci terapeutici basati sulla mindfulness si fondano sull’idea che la nostra sofferenza emerga in realtà più dal come ci relazioniamo all’esperienza di dolore, disagio e difficoltà che dall’esperienza stessa. Attraverso le pratiche di mindfulness, è possibile ridurre l’angoscia rispetto a quanto accade nella vita, apprendendo un nuovo modo di stare in relazione con la nostra vita e con l' esperienze spiacevoli.
Ad oggi, sono stati sviluppati due principali protocolli di mindfulness per i pazienti oncologici: il protocollo Mindfulness Based Cancer Recovery MBCR di L. Carlson, che ha alla base i principi del protocollo MBSR e pone l’attenzione su come affrontare il cancro, i sintomi come il dolore, la nausea e le emozioni difficili, e Il protocollo MBCT-CA (Terapia Cognitiva basata sulla Mindfulness per il cancro) di T. Bartley. L’MBCT-CA è un programma basato sul protocollo MBCT per la depressione, e pone l’attenzione sui modi di interpretare, di fronteggiare gli eventi quando vi è una minaccia alla sopravvivenza, quindi la risposta che i pazienti oncologici mettono in atto quando hanno la diagnosi di cancro o cambiamenti di stato della malattia.
Le pratiche di mindfulness su cui si basano i protocolli permettono ai partecipanti di diminuire il livello di reattività abituale agli eventi. Le ricerche scientifiche riportano come la continuità nelle pratiche permetta di cambiare la relazione con i pensieri e con le emozioni negative, imparando a lasciar andare le paure e le ruminazioni mentali, interrompendo quei processi automatici che portano all’ansia e alla disperazione. Gli interventi basati sulla mindfulness per pazienti oncologici sono efficaci nel ridurre lo stress, e nel migliorare i sintomi fisici e i disturbi dell’umore. Una recente meta-analisi di studi sui protocolli di mindfulness con pazienti oncologici ha dimostrato che questi interventi hanno un effetto significativo sul disagio psicologico, sui sintomi di ansia, depressione, paura di recidiva, sui sintomi fisici, evidenziando un miglioramento della qualità della vita dei pazienti. In uno studio recente, su un campione di 88 pazienti con una diagnosi di cancro spagnoli, a cui è stato proposto il protocollo MBCT-Ca, si è evidenziato una riduzione della psicopatologia dei pazienti (depressione), un aumento della loro qualità di vita (salute fisica generale, stato emotivo e funzionamento personale), e un aumento della consapevolezza del loro stato emotivo.
La pratica della mindfulness ci permette di imparare a lasciar andare il biasimo e l’auto-giudizio per coltivare un approccio più gentile verso noi stessi, imparando “a stare con l’esperienza così com’è ” anche rispetto alle emozioni più difficili, e a voltarsi verso la sofferenza con un’attitudine di cura e accoglienza. Può essere un aiuto prezioso per il paziente oncologico e per i suoi familiari.
Dott.ssa Elena Giannoni
Mindful parenting: la consapevolezza nella relazione con i figli
Essere genitori è un compito impegnativo e delicato, talvolta faticoso, e non è un caso se spesso se ne parla come di un vero e proprio “lavoro”. Nel tentativo di svolgerlo al meglio, l’adulto che diventa genitore spesso va alla ricerca di informazioni che lo possano aiutare, di prescrizioni utili, ma poi è proprio nei momenti di difficoltà, quando i vissuti emotivi diventano più intensi, che tutte le nozioni apprese possono risultare meno disponibili: difficili da ricordare e da applicare. Ed è in queste occasioni che il concetto di mindfulness, e la sua pratica, possono venire in soccorso, rivelandosi un valido strumento di sostegno alla genitorialità.
Il termine “mindfulness” viene tradotto in italiano con “consapevolezza” o con l’espressione “presenza mentale”, e può essere descritto come l’abilità di portare attenzione alla propria esperienza del momento presente in un modo particolare: con intenzione, e con un’attitudine non giudicante. Si concretizza quindi in una specifica modalità con cui possiamo relazionarci alla nostra esperienza, interna ed esterna.
Le applicazioni della mindfulness in ambito psicologico sono ormai numerose, e alcune più recenti riguardano per l’appunto il tema della genitorialità: ne è un valido esempio il programma Mindful Parenting, ideato dalla psicoterapeuta cognitivista Susan Bögels e dai suoi collaboratori negli ultimi 20 anni.
Integrando i più noti protocolli MBSR (Mindfulness-based Stress Reduction) ed MBCT (Mindfulness-based Cognitive Therapy), il Mindful Parenting è un intervento di gruppo che ha l’obiettivo di supportare i genitori nella loro difficile funzione, promuovendo la consapevolezza del momento presente nella relazione genitori-figli. All’interno del percorso di 8 incontri, questa particolare presenza e attenzione nella relazione viene coltivata con l’allenamento nelle pratiche di meditazione formale, ma anche fin da subito integrata nel contesto della vita quotidiana come mezzo per gestire lo stress, le emozioni difficili e quegli schemi comportamentali – anche frutto di apprendimenti all’interno del contesto familiare di origine – che solitamente vengono agiti perlopiù inconsapevolmente: i genitori vengono quindi guidati nel coltivare un atteggiamento più consapevole, e meno reattivo e giudicante nei confronti dei loro figli. In questo senso non si tratta quindi di un insegnamento di nozioni da applicare all’occorrenza, ma della promozione di una diversa modalità di stare nella relazione, e pertanto di essere nella relazione.
Il programma si rivolge a genitori con particolari problemi che interferiscono con le loro abilità genitoriali (es. psicopatologie), che hanno figli con specifiche problematiche di sviluppo, ma anche a genitori sotto stress, con difficoltà relazionali con i propri figli, o che semplicemente hanno il desiderio di migliorarsi nel loro essere genitori: è un protocollo che risulta quindi idoneo come intervento clinico ma anche come intervento preventivo. La sua efficacia è stata dimostrata in setting clinici e sperimentali.
Fonti:
Bögels S., Mindful Parenting. Per costruire una relazione consapevole con i nostri figli, E-D Enrico Damiani Editore, Brescia 2020
Bögels S., Restifo K., Mindful Parenting: A Guide for Mental Health Practitioners, W.W. Norton & Company, New York, 2015
Kabat-Zinn M., Kabat-Zinn J., Il genitore consapevole, Tea, Milano 2018
Piacenti A., Colasanti A.R., I programmi di Mindful Parenting come efficace sostegno alla genitorialità: analisi dell’esistente, in ResearchGate.net, marzo 2019
https://www.researchgate.net/publication/335686180_I_programmi_di_Mindful_Parenting_come_efficace_sostegno_alla_genitorialita_analisi_dell'esistente
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Mindfulness e bambini: uno studio mostra l’efficacia delle pratiche di consapevolezza nei bambini delle elementari
Negli ultimi 20 anni la mindfulness ha suscitato crescente interesse sia da parte della comunità scientifica che del pubblico generale. Definibile come l’abilità di “prestare attenzione di proposito, nel momento presente e in modo non giudicante, allo scorrere dell’esperienza, momento dopo momento”, la pratica della mindfulness è da sempre stata tenuta in grande considerazione in numerosi sentieri spirituali come quelli della tradizione Buddista Vipassana e Zen. Più di recente, la mindfulness è entrata a pieno titolo nella moderna psicologica occidentale in cui, praticata sia individualmente che in gruppo, si è dimostrata molto efficace nel ridurre la sofferenza psicologica in una grande varietà di condizioni mediche e psicologiche, quantomeno tra gli adulti.
Meno attenzione è stata data invece fino a tempi recenti alla possibile utilità del far praticare la mindfulness ai bambini di età scolare (7-11 anni). Tuttavia, un gruppo di ricercatori guidati dal dot. Amundsen del dipartimento di psicologia dell’università di Northumbria, nel regno Unito, ha recentemente pubblicato uno studio in cui un gruppo di circa 100 bambini è stato diviso in tre gruppi che includevano un gruppo di mindfulness (Living Mindfully Primary Programme), un gruppo di controllo psicoeducativo e un gruppo indirizzato ad una lista di attesa.
I risultati dello studio hanno dimostrato come i bambini indirizzati al gruppo di mindfulness, sia al termine dell’esperienza di gruppo che a un successivo follow-up, riportassero di sentirsi significativamente meglio, di avere un atteggiamento più positivo, e di percepire una migliore qualità di vita, sia rispetto al gruppo di controllo indirizzato alla lista d’attesa sia rispetto al gruppo di controllo indirizzato alla psicoeducazione. Gli autori hanno anche osservato come sia stato relativamente semplice adattare il programma di mindfulness oggetto di studio ai bambini. Complessivamente, i risultati dello studio suggeriscono fortemente come, con opportuni adattamenti, la mindfulness possa essere utile anche per i bambini di età scolare e sarebbe quindi da incoraggiare al fine di favorire una migliore conoscenza e regolazione delle proprie emozioni e la promozione di più elevati livelli di benessere.Ben-essere: Cosa vuole davvero dire e cosa possiamo fare per raggiungerlo e mantenerlo?
Da sempre filosofi, teologi e mistici si sono interrogati su cosa voglia dire vivere con pienezza e su quale sia la via migliore per poterlo fare. Una delle principali dicotomie che ha maggiormente influenzato il pensiero psicologico tanto antico quanto moderno è stata la divisione tra benessere edonistico e benessere eudamonico. Secondo questa visione, il benessere edonistico sarebbe quello caratterizzato dal tentativo di conseguire dei piaceri immediati mentre il benessere eudamonico sarebbe quello caratterizzato da una costante ricerca personale volta a comprendere cosa porti a una felicità duratura e dalle azioni volte ad allineare la propria vita con questo scopo.
Sebbene l’edonismo sia stato occasionalmente visto nella storia come la via maestra per ottenere felicità e pienezza, nei secoli l’esperienza, la riflessione e infine la ricerca scientifica hanno mostrato come il benessere eudamonico sia quello in grado di produrre una soddisfazione di gran lunga più stabile e profonda per l’essere umano. Secondo quest’ottica, star bene non vorrebbe quindi dire cercare continue gratificazioni sensoriali e al contempo cercare di evitare ogni possibile fonte di sofferenza, quanto piuttosto coltivare un atteggiamento di auto-osservazione caratterizzato da un ascolto di sé che sia in grado di mettere in luce ciò che davvero ha valore per noi, anche se non sempre facile e immediato da raggiungere, assieme all’abilità e alla volontà di agire coerentemente con le prese di consapevolezza derivate da questo ascolto.
Secondo questa prospettiva, inoltre, star bene non implicherebbe il vivere di momenti piacevoli in modo il più possibile continuativo ma piuttosto sapere vivere a quella “giusta distanza” che ci permetterebbe da un lato di entrare in contatto con ciò che ha per noi maggiore valore e significato e di fare del nostro meglio per perseguirlo, dall’altro di non diventare ossessionati da questa ricerca e dalla bramosia di vedere risultati immediati. La domanda diventa quindi: come imparare ad ascoltarci più in profondità e come agire coerentemente con le prese di consapevolezza che ne derivano?
Uno degli approcci più promettenti è quello offerto da una disciplina oggi molto nota in occidente col nome di mindfulness. Mindfulness è un termine utilizzato per indicare una consapevolezza delle emozioni, delle sensazioni, dei pensieri e dei bisogni che albergano in noi in ogni dato momento, al di là delle aspettative e dei giudizi su ciò che secondo noi dovremmo sentire o pensare in una data situazione. Lo sviluppo di questa consapevolezza è stato messo da sempre al centro di numerosi sentieri spirituali e coltivato attraverso numerose pratiche di meditazione come la meditazione Vipassana e la meditazione Zen.
Secondo quanto evidenziato da studiosi di rilievo tra cui Eric Garland dell’università dello Utah e collaboratori, praticare la mindfulness ci aiuterebbe innanzitutto a prendere maggiore contatto in modo non giudicante con le nostre sensazioni ed emozioni in ogni dato momento. Questa presa di contatto ci permetterebbe di affinare la nostra abilità di auto-ascolto, aspetto che, a sua volta, ci permetterebbe da un lato di notare con più chiarezza cosa è sintonico con i nostri bisogni e cosa invece non lo è, e dall’altro di imparare a tollerare in modo meno reattivo gli inevitabili stati d’animo di sofferenza in cui quotidianamente ci imbattiamo.
In secondo luogo, la pratica della mindfulness, aiutandoci a osservare come dei testimoni imparziali i flussi di pensiero che continuativamente attraversano la nostra mente, senza però esserne sopraffatti, ci permettere di riconoscere quali sono i desideri e le paure del momento che a volte ci appaiono oltremodo urgenti o inaffrontabili ma in realtà, a ben guardarle, sono poco più che nuvole passeggere nello spazio più ampio del cielo della nostra consapevolezza, e quali sono invece le aspirazioni più genuine che albergano in noi e verso le quali con pazienza, pratica e creatività possiamo scegliere di protenderci. In altre parole, la pratica della mindfulness, da un lato allenandoci all’autoascolto, dall’altro invitandoci a fidarci delle nostre percezioni e stati d’animo e, dall’altro ancora insegnandoci a non agire con troppa ingenuità sulla base dell’impulso del momento ma a valutare di caso in caso cosa è davvero importante per noi e cosa non lo è, può rivelarsi uno strumento di prima scelta per tutti coloro che cercano un benessere stabile e profondo di cui tutti i maestri del passato e del presente ci hanno sempre parlato ma che solo in pochi, senza un’adeguata pratica e motivazione, riescono davvero ad afferrare.
Dott. Alberto Chiesta
Mindfulness: un possibile risorsa anche online?
In periodi come quello attuale in cui tutti quanto passiamo la maggior parte del nostro tempo in casa, le nostre abitudini, anche le più normali, come frequentare amici, ristoranti, locali, ma anche strutture dove si tengono colloqui individuali o corsi di gruppo, sono fortemente limitate se non addirittura completamente stravolte. Per questa ragione molte persone si stanno rivolgendo al web cercando di fare on line quello che prima facevano in luoghi fisici distinti dalla propria abitazione. Molta attenzione sta venendo data in questo periodo alla pratica della mindfulness e alla possibilità di farla on line, anche se non senza scetticismo, almeno da parte di molte persone. Ma cos’è di preciso la mindfulness? Può essere di aiuto? E soprattutto può essere utile anche on line?
Innanzitutto, la mindfulness può essere definita come la consapevolezza che emerge dal prestare attenzione di proposito all’esperienza del momento presente, in modo accogliente e non giudicante, momento dopo momento, e può essere coltivata tramite apposite pratiche di meditazione e percorsi strutturati di cui il protocollo di Riduzione dello Stress basata sulla Mindfulness (RSBM), sviluppato dal professor Jon Kabat-Zinn dell’università del Massachusetts, è senza dubbio il più noto e studiato da un punto di vista scientifico. Ad oggi ci sono numerosi studi che dimostrano come il protocollo di RSBM, così come molti altri percorsi basati sulla mindfulness che si sono sviluppati a partire dal percorso originariamente sviluppato da Kabat-Zinn, possano essere di significativo aiuto nel ridurre lo stress in popolazioni non cliniche, così come nel ridurre l’ansia e l’umore depresso, oltre che nel migliorare le emozioni “positive” come la calma, la fiducia e il senso di sicurezza, e la qualità della vita soggettivamente percepita, sia in persone senza disturbi clinici rilevanti che in persone con disturbi psichiatrici e malattie croniche.
Sebbene finora la maggior parte degli studi si sia focalizzata su corsi in cui i praticanti partecipano ai gruppi di mindfulness di persona, gli sviluppi del web hanno più di recente spinto i ricercatori a focalizzarsi sulla possibilità che la mindfulness possa essere praticata e insegnata anche on line. Uno studio pubblicato da Querstret e collaboratori della scuola di psicologia dell’università di Surrey nel Regno Unito, ad esempio, si è recentemente focalizzato sui possibili effetti sul benessere psicologico di un programma on line di mindfulness proposto a un gruppo di 118 persone che non soffrivano di particolari disturbi medici o psichiatrici, metà dei quali sono stati indirizzati al gruppo di mindfulness e metà ad una lista d’attesa.
I ricercatori hanno osservato come, rispetto ai soggetti del gruppo di controllo, i partecipanti al corso on line di mindfulness, riportassero al termine del percorso più bassi livelli di ansia, stress e umore depresso, effetti che erano riscontrabili anche al follow-up settimane dopo il termine del percorso. Dallo studio è emerso anche che lo sviluppo di una migliore abilità di non giudicare l’esperienza presente ma di accoglierla così com’era sarebbe stato uno degli ingredienti chiave dei cambiamenti benefici osservati nel gruppo di praticanti di mindfulness. Complessivamente le evidenze attuali, seppur preliminari, sembrano quindi suggerire che la mindfulness possa ragionevolmente essere proposta e appresa anche on line. Probabilmente condividere uno spazio e un luogo in cui ritrovarsi a praticare assieme è e sarà sempre un’esperienza non del tutto sostituibile ma nel frattempo, in caso di bisogno, perché non provare?
Alberto Chiesa
Mindfulness e rilassamento: approcci simili o distinti?
La mindfulness (consapevolezza non giudicante del momento presente) sta ricevendo crescente attenzione sia dal punto di vista della comunità scientifica che del pubblico generale. Col crescere della sua diffusione, diventa cruciale chiarire un dubbio che molte persone tendono ad avere: la mindfulness è una pratica di rilassamento? E, se non lo è, in cosa si distingue dal rilassamento? Quali sono le caratteristiche distintive dei due approcci? A tali domande hanno di recente dato risposta Christina Luberto e colleghi dell’università del Massachusetts. Come gli autori spiegano con chiarezza nel loro articolo, sebbene entrambe le pratiche possano portare ad un maggiore livello di rilassatezza complessiva, che tende ad aumentare con il crescere dell’esperienza, i due approcci sono contraddistinti anche da significative differenze.
In primo luogo, secondo il modello a cui si ispirano le principali pratiche di rilassamento, tra cui la “risposta al rilassamento”, lo stress sarebbe causato da stati di stress cronico ed eccessivo e l’atto intenzionale di coltivare il rilassamento sarebbe l’antidoto ai danni causati da livelli di stress eccessivo. Dal punto di vista delle pratiche di mindfulness, invece, il vero problema alla radice della sofferenza sarebbero i nostri abituali atteggiamenti reattivi e inconsapevoli che la mindfulness può aiutarci ad affrontare imparando a diventare più consapevoli del loro attivarsi e, successivamente, rendendoci più in grado di modularli.
In secondo luogo, mentre l’enfasi delle pratiche di rilassamento viene posta sulla coltivazione dell’abilità di raggiungere una stato di rilassatezza caratterizzata da una maggiore attivazione del sistema parasimpatico rispetto a quella del sistema simpatico, e, di conseguenza, sul cambiare il proprio stato interno, qualora questo sia di eccessivo “stress”, le pratiche di mindfulness ci insegnano che, alla lunga, e forse paradossalmente per alcuni, il modo migliore per far fronte allo stress e alla sofferenza che ne deriva è quello di imparare accogliere le esperienze con cui entriamo in contatto, incluse quelle spiacevoli, con un atteggiamento non reattivo e non giudicante.
Infine, se rispetto agli esiti clinici, entrambi gli approcci possono portare a una riduzione dello stress e dell’ansia da un lato e a un incremento delle emozioni “positive” (come fiducia, serenità, pace) dall’altro, sembra che i meccanismi attraverso cui operano potrebbero essere significativamente differenti: mentre le pratiche di rilassamento agirebbero, appunto, promuovendo una maggiore facilitazione di accesso a questo stato interno che, col tempo, sembra diventare sempre più accessibile a chi pratica con continuità, le pratiche di mindfulness agiscono soprattutto promuovendo una maggiore disidentificazione dai propri pensieri automatici precedentemente scambiati per “la realtà” delle cose, una riduzione delle preoccupazioni e del rimuginio e soprattutto una maggiore abilità di identificare i propri automatismi e i propri pregiudizi e di rispondere consapevolmente anziché reagire reattivamente alle sfide della vita.
In conclusione, sebbene i due approcci possano portare, almeno in parte, a benefici sovrapponibili, è altresì vero che le vie attraverso cui facilitano la coltivazione di una maggiore stabilità interiore sembra essere largamente differente. Sarebbe quindi utile che le persone interessate si accostassero all’uno piuttosto che all’altro approccio dopo un’attenta valutazione dei propri scopi, caratteristiche e preferenze individuali in modo che l’impegno richiesto per entrambi i percorsi possa essere compensato quanto più possibile da un senso di soddisfazione legato alla sensazione di impegnarsi un approccio in linea con i propri bisogni e la propria persona.
Fonte: A Perspective on the Similarities and Differences Between Mindfulness and Relaxation
Christina M Luberto, PhD,1,2 Daniel L Hall, PhD,1,2 Elyse R Park, PhD, MPH,1,2 Aviad Haramati, PhD,3 and Sian Cotton, PhD4
Glob Adv Health Med. 2020 Published online 2020 Feb 5