Ma perchè piange? Avrà fame? Avrà sete? Non starà bene? Eppure ha appena mangiato, bevuto,fatto la visita pediatrica...cosa mai avrà? E io cosa posso fare?
Quale neo-mamma non si è trovata a pensare a queste domande quando il proprio piccolo ha iniziato a piangere disperato quando lo si è messo nella culla o lettino. Sembra che non ci sia nulla che non va, che i bisogni del bambino siano stati tutti soddisfatti, eppure lui continua a piangere e l'unico modo per farlo smettere sembra essere prenderlo in braccio. E così lo si culla per molto tempo tra le braccia, perchè la mamma e il papà hanno imparato che questo funziona, eppure due domande rimangono: come mai piangeva? E perchè solo il prenderlo in braccio ha funzionato?
Harlow, un ricercatore americano, ha svolto svariati esperimenti sui macachi intorno agli anni '50 e in uno dei più celebri ha osservato che ponendo dei cuccioli di macaco in una gabbia con due sagome, una coperta di panni morbidi e l'altra fatta di fili di ferro ma dotata di biberon, i due cuccioli si avvicinavano alla sagoma dotata di biberon solo per nutrirsi, mentre passavano la maggior parte del tempo aggrappati alla figura con il panno. Inoltre, nel caso venissero esposti ad oggetti fonte di paura, i piccoli di macaco si dirigevano verso la sagoma con il panno e solo così sembravano calmarsi. Di fronte a queste osservazioni, Harlow concluse che per questi cuccioli non fosse necessario soltanto disporre di acqua e cibo, ma anche e soprattutto di un vero e proprio legame affettivo mediato dal contatto.
L'importanza del contatto fisico con un adulto di riferimento ha un significato molto antico e radicato a livello evoluzionistico. Già ai primordi della specie la mamma garantiva protezione e cura al proprio piccolo e solo questo garantiva la sua sopravvivenza contro gli attacch di predatori o adulti estranei o contro la mancanza di cibo, acqua e pulizia.
E allora come richiamare la propria figura protettiva quando si è esposti a pericoli (come predatori, fame, sete ecc)? Ecco che il pianto assume un ruolo centrale per richiamare la mamma e farle capire che qualcosa non va.
Come mai quindi i nostri bambini spesso piangono quando lasciati nella culla da soli? Piangono proprio perchè è il loro modo di chiamare la mamma e di assicurarsi che sia lì per loro per proteggerli. Infatti i bambini che non hanno ancora imparato a parlare, possono comunicare solo attraverso il loro comportamento e il pianto, in particolar modo, è il comportamento che hanno sperimentato come più efficace per ottenere l'attenzione del genitore.
Perchè solo il prendere in braccio il piccolo funziona? Funziona proprio perchè il contatto assicura al bambino la sicurezza che la mamma sia lì per lui a proteggerlo e che possa quindi essere sicuro di sopravvivere ai vari pericoli.
Questa tendenza innata a richiamare la mamma e a richiederne la vicinanza è stata definita “attaccamento” dallo psichiatra inglese John Bowlby. Egli definisce infatti “legame di attaccamento” quella parte del rapporto tra genitore e figlio in cui piccolo trova nell'adulto il soddisfacimento del suo bisogno di essere confortato e protetto, in quanto il genitore viene appunto visto come persona più forte e saggia.
La modalità di richiamare il genitore (e quindi il legame di attaccamento) può variare da bambino a bambino e sulla base dell'età: bambini che piangono, che urlano, che si nascondono sotto il letto, che non vogliono fare i compiti sono solo alcuni esempi. Questi comportamenti riescono a richiamare il genitore, che spesso interpreta in modo negativo la condotta del bambino: per esempio, di fronte al bimbo che piange, alcuni genitori potranno pensare che è viziato e che prenderlo in braccio vorrebbe dire portarlo a ripetere il comportamento, altri potrebbero pensare che lo fa per fare loro un dispetto.
In realtà il bambino sta usando il comportamento più efficace a richiamare il genitore e il motivo per cui ha bisogno che il genitore gli dia attenzione è proprio per l'attivazione del sistema di attaccamento, cioè per ottenere cura, conforto e protezione da qualcosa.
Appare allora importante non tanto soffermarsi sul comportamento in sé che il bambini ha usato, ma su ciò che il bambino vuole comunicarsi, cioè domandarsi: cosa sta cercando di dirmi?.
Dott.ssa Arianna Tarabelloni