Gli effetti più devastanti di questa pandemia sono sicuramente quelli vissuti dalle vittime dirette e dai loro familiari. Ci possono essere conseguenze anche in coloro che svolgono professioni sanitarie “ad alto rischio”, ma anche nel personale amministrativo e gestionale a seguito del contatto con persone infette e/o traumatizzate.
Nonostante medici, infermieri, operatori sanitari interni ed esterni agli ospedali siano adeguatamente preparati ad affrontare eventi fortemente stressanti, le catastrofi come eventi naturali e pandemie creano stati di emergenza che, da una parte predispongono e attivano in modo efficace al contenimento dei danni, ma, dall’altra, predispongono alla possibilità che compaiano problemi da un punto di vista psicologico.
Ricerche condotte sul personale addetto alle emergenze, tra cui il personale sanitario, indicano chiaramente come essi presentino reazioni negative a livello psicologico, fisico e sociale, con conseguenze sia su un piano personale che professionale.
Sebbene esista un’innegabile componente di soddisfazione personale, svolgere professioni d’aiuto, in condizioni altamente stressanti, sotto minaccia di eventi improvvisamente troppo grandi per permettere una difesa e una gestione immediata ed efficace, porta ovviamente a conseguenze negative sul piano emotivo.
Tra le principali cause di rischio di sviluppare conseguenze stressanti in questo periodo ci sono: l’imprevedibilità degli eventi, la mancanza di informazioni e protezioni adeguate per sé stessi e i colleghi (e di conseguenza per i cari), il numero alto di vittime, la fatica fisica, strutture operative inadeguate. Le principali conseguenze sono l’alto stress, il burnout, la traumatizzazione secondaria (o trauma vicario).
La condizione di alto stress:
L’alto stress rappresenta il principale rischio occupazionale degli operatori. Come possiamo aiutare in questa situazione? Le strategie di aiuto in situazioni di questo genere mirano a: ridurre gli effetti negativi prodotti dallo stress grazie, per esempio, ad una ristrutturazione cognitiva il cui obiettivo è porre l’attenzione più agli aspetti positivi che a quelli negativi della situazione; aumentare la consapevolezza di maggiore controllo su di sé e sulla situazione; condividere le esperienze con colleghi o amici e familiari per gestire meglio le emozioni.
La traumatizzazione vicaria.
Come detto, il personale a diretto contatto con persone che stanno vivendo un forte trauma può sviluppare una condizione di traumatizzazione che, per questo, viene definita stress traumatico secondario o trauma vicario. Infatti, i sintomi della traumatizzazione secondaria sono sovrapponibili ai principali sintomi da stress post-traumatico. I sintomi presentati potrebbero essere di iper-attivazione, forte ansia o rabbia e irritabilità, difficoltà alla concentrazione e disturbi del sonno. Accanto a questi, pensieri intrusivi o immagini ricorrenti, percezioni e incubi legati al riproporsi di memorie traumatiche. Inoltre, possono attivarsi condotte di evitamento finalizzate ad evitare luoghi o persone legate al trauma, ma anche dettate dalla paura di sperimentare emozioni penose dalle quali si sentono invasi.
Cosa possiamo fare per sostenere chi si trova in questa condizione? Riconoscere questa situazione, immediatamente sostenere e stabilizzare questa sofferenza e attivare interventi post- emergenza specifici per la prevenzione della traumatizzazione secondaria e inviare a specialisti esperti in traumi.
Il burnout
Ciò che brucia le energie dei lavoratori, soprattutto quelli che esercitano professioni d’aiuto, ma ovviamente estendibile a qualsiasi categoria professionale in condizione di sovraccarico, è la sensazione di sovraffaticamento per iper richiesta, pensata ingiustificata, di risorse fisiche ed emotive. Può presentarsi la sensazione di distacco da pazienti/utenti, la ridotta percezione di efficacia personale e lavorativa, ansia, tristezza e iperirritabilità, disturbi del sonno e forte affaticamento. La conseguenza può coinvolgere sia il singolo lavoratore in termini personali e professionali, ma anche l’utenza e l’organizzazione tutta, a causa di possibile assenteismo, continue minacce di lasciare il lavoro, bassa produttività.
Come possiamo aiutare?
Il burnout, dicevamo, insorge non soltanto come una sofferenza della persona, ma anche come una fatica organizzativa del posto di lavoro. Gli interventi di aiuto in una situazione di emergenza saranno mirati al sostegno del singolo lavoratore e saranno estesi al gruppo di lavoro e ai manager e dirigenti. Abbiamo riportato brevemente quali potrebbero essere le condizioni psicologiche degli operatori coinvolti nella gestione delle emergenze. Gli specialisti impiegati saranno psicoterapeuti esperti in psicotraumatologia, psicologi delle organizzazioni e psicologi sociali. In generale, qualsiasi intervento ha come obiettivo finale la prevenzione del burnout, della traumatizzazione secondaria e il rientro in una condizione di “nuova normalità” grazie alla promozione di una mentalità resiliente, ossia la capacità di usare le proprie risorse per superare i problemi.
Ciò che spesso manca, e nel nostro contesto socio-culturale particolarmente, è l’attenzione da parte degli specialisti delle risorse umane verso i professionisti delle emergenze. Da ciò deriva un inevitabile limite per i progetti efficaci di intervento, ma questo limite può anche diventare occasione di un più ampio spettro di proposte di sensibilizzazione in questo senso.
Angela Draisci
Fonti:
Figley 1999
Van der Ploeg, Dorresteijn, Kleber, 2003
DSM V (APA 2013)
Goleman, 1995
Mc Cann, Pearlmann 1990
Maslah, Jackson, Leiter 1996, 2008